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Il cambio di sesso da minorenni in Italia è impossibile anche con il consenso dei genitori

I minorenni in Italia non possono procedere con il cambio di sesso neppure se i genitori danno il loro consenso. Il tema è estremamente delicato, non solo perché tocca diversi aspetti dell’individuo, ma anche perché vi è molta confusione al riguardo, derivante per lo più da un diffuso perbenismo che non ha fatto altro che alimentare ignoranza, stereotipi e pregiudizi.

Cos’è il disturbo dell’identità di genere

Si chiama “disturbo dell’identità di genere” o “disforia di genere” e si manifesta in quelle persone che s’identificano nel sesso opposto rispetto a quello biologico o che si sentono inadeguati nel ruolo di genere che corrisponde ad esso.

Secondo gli studi più recenti in materia, la disforia di genere potrebbe iniziare a manifestarsi negli anni dell’adolescenza o addirittura durante l’infanzia.

In questi casi i genitori, inconsapevolmente, possono sottovalutare la questione se non hanno gli strumenti per rapportarsi in maniera giusta con il figlio o la figlia.

Pensiamo ad una bambina che ha sempre manifestato segni tipicamente maschili che, però, viene spinta dai genitori ad agire contro la sua volontà, indossando abiti più femminili o svolgendo attività ricreative più adatte a una femmina.

Con l’adolescenza, le difficoltà e il tormento interiore della ragazza potrebbero presentarsi con maggiore irruenza. La giovane, magari derisa dai compagni di classe e incompresa dai genitori, rischierebbe di chiudersi nella sua sofferenza. In certi casi, però, i genitori sono più comprensivi di quanto si creda e probabilmente, la vista di tanto dolore, li farebbe decidere a rivolgersi a un centro di specialisti, al fine di fornire un valido supporto psicologico alla figlia.

La ragazza potrebbe così iniziare un percorso di analisi, mentre parallelamente i genitori potrebbero trovare appoggio e suggerimenti su come meglio gestire la situazione. Dopo mesi di trattamento, madre e padre si potrebbero convincere a ritenere che la soluzione migliore per la figlia possa effettivamente essere il cambio di sesso, come la giovane chiede da tempo.

Questa travagliata vicenda familiare fatta di supporto ma anche di sofferenze da un lato avrà cementato il legame dei genitori con la figlia ma, dall’altra, non potrà avere immediato seguito nella pratica.

Cambiamento di sesso: una scelta che è permessa con la rappresentanza dei genitori

In Italia, infatti, fino a questo momento non è ammessa la possibilità di “delegare” a terzi la decisione di cambiare sesso neppure se questi terzi sono i genitori, a tutti gli effetti tutori legali dei figli minori.

I genitori, quindi, non possono presentare per conto della figlia la domanda di autorizzazione al cambiamento di sesso. Questa è ritenuta una decisione che interessa un “diritto personalissimo” che, in quanto tale, non ammette rappresentanza, cioè non può essere esercitato da nessun altro.

Il minore che desideri cambiare sesso, quindi, dovrà attendere il compimento della maggiore età e a quel punto agire autonomamente. Finché non raggiunge la soglia del diciottesimo anno, infatti, non gli è riconosciuta la possibilità di agire né potrà chiedere ai propri genitori di farsi portavoce della sua richiesta

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Quando il rifiuto dell’intimità causa l’addebito della separazione

Nella comunicazione contemporanea l’astinenza sessuale durante il matrimonio è diventata motivo d’ironia nell’eterno gioco tra le parti, ma da un punto di vista più strettamente giuridico rappresenta una violazione dell’obbligo coniugale di assistenza morale.

Il marito che, ad esempio, respinge ogni tipo di rapporto sessuale o affettivo con la moglie è responsabile di un comportamento lesivo e offensivo nei suoi confronti, perché i ripetuti rifiuti possono provocarle, alla lunga, frustrazione e disagio. Basti pensare a quanto possa risentirne la dignità della moglie, umiliata di fronte a ogni rifiuto.

L’astinenza fa scoppiare la coppia

Se l’astinenza non è dettata da malattie fisiche o motivazioni psicologiche, l’intimità contribuisce a creare e fortificare la comunione materiale e spirituale sulla quale si fonda il matrimonio. E’ l’amore, anche carnale, a tenere in vita un rapporto.

Sotto questa prospettiva, il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge, se non debitamente motivato, può comportare l’affievolirsi di quella comunione coniugale che è base della vita a due. Un simile atteggiamento può ferire profondamente tanto quanto un tradimento: fa male, e chi subisce il rifiuto, spesso, si tormenta interiormente, nel vano tentativo di capire cosa non vada più bene in lei o in lui. Il fatto di non essere più desiderati colpisce gravemente la dignità di chi si vede ogni volta respinto, generando, col tempo, persino possibili disagi psicofisici.

Di fatto, il rifiuto d’intrattenere rapporti affettivi e sessuali del coniuge rappresenta causa sufficiente per chiedere la separazione e l’addebito della stessa e, in genere, non può essere giustificato come ritorsione o reazione rispetto al comportamento dell’altro e, nel caso in cui la moglie chiedesse la separazione perché non sopporta più di vedersi rifiutata dal marito, il Giudice potrebbe dichiarare l’addebito della separazione a quest’ultimo.

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