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Separazione e divorzio, novità nella riforma del processo civile

Le novità da tempo annunciate sulla separazione e sul divorzio sono diventate realtà con la riforma Cartabia, entrata definitivamente in vigore sia per il rito dei procedimenti di famiglia che, più in generale, per tutto il rito del processo Civile.

La riforma ha prima di tutto raccolto le richieste che da svariati anni provenivano dagli addetti ai lavori che gestiscono in prima persona le crisi familiari soprattutto ai fini della nascita di un unico Tribunale per la famiglia e i minori, il quale lavorerà sulla base di un unico rito uniformato, uguale per tutti i giudizi.

Mentre il nuovo rito dei procedimenti di separazione, divorzio e, più in generale, di tutte le cause relative a questioni familiari è già entrato in vigore, il Tribunale della Famiglia dovrebbe fare il suo ingresso definitivo entro la fine del prossimo anno.

Diritto di famiglia: quali novità sono introdotte dalla riforma

Nell’ambito del Diritto di famiglia le novità più importanti sono:

  • la nascita di un unico Tribunale per le persone, per i minori e per la famiglia che accorpa il Tribunale per i minorenni e prevede l’assegnazione di magistrati esperti nelle materie trattate;

  • più velocità per ottenere la separazione e il divorzio che si possono chiedere insieme, con un unico atto, con l’assistenza di un avvocato, preferibilmente un avvocato divorzista. Non c’è più bisogno di fare prima un ricorso per chiedere la separazione, e poi un secondo ricorso separato per domandare il divorzio: ora si possono chiedere contestualmente. Per avere direttamente il divorzio immediato basterà fare una domanda cumulativa.

    Non è stato introdotto il “divorzio senza separazione” quindi la separazione non viene cancellata, però sarà possibile ottenere il divorzio in un tempo più rapido.

  • il potenziamento della negoziazione assistita e della mediazione familiare (incentivi fiscali, trattazione da remoto e allargamento anche ai genitori non coniugati);

  • il miglioramento e l’abbreviazione delle forme di tutela per le donne ed i minori che subiscono violenza con l’obbligo di nomina di un curatore speciale a favore del minore di età (binario preferenziale per ordini di protezione in via d’urgenza, maggiore raccordo tra giudice penale e giudice civile.

Unico processo per la separazione e il divorzio

Per quanto riguarda i procedimenti di separazione e divorzio (ma anche di cause per la regolamentazione della responsabilità genitoriale in caso di coppia non sposata) uno degli scopi della riforma è quello di rendere il processo molto più veloce e snello. Il Legislatore ha pensato di evitare la doppia fase, presidenziale e istruttoria, affidando l’intera causa ad un unico giudice istruttore, delegato dal Collegio, che possa avere maggiore conoscenza della pratica e decidere più in fretta, soprattutto nell’interesse dei minori.

Per chiedere il divorzio contestualmente alla domanda di separazione è necessario che l’avvocato inserisca subito in un unico atto tutte le domande relative alla separazione personale ed al successivo divorzio, il quale potrà essere pronunciato e trattato dallo stesso Giudice.

Il divorzio si otterrà quando:

1) ci sarà stata la separazione: basta anche semplicemente la sentenza “parziale” di separazione che viene emessa già dopo la prima udienza, senza dover attendere la conclusione della causa

2) saranno trascorsi 6 o 12 mesi a seconda che la separazione sia stata pronunciata a seguito di un giudizio consensuale o giudiziale. Durante questo periodo ovviamente i coniugi non si devono essere riconciliati.

Una sola udienza dopo 90 giorni con tutte le prove e documenti

Chi introduce la causa riceve entro 3 giorni un decreto con il quale il Tribunale fissa la prima udienza alla quale le parti devono presenziare di persona con i loro Avvocati. L’udienza è fissata in tempi brevi, ossia entro 90 giorni dal deposito del ricorso. Nello stesso decreto il Tribunale nomina il Giudice istruttore delegato dal Collegio alla trattazione della causa.

Il giudice istruttore concede un termine per procedere alla notifica da parte del ricorrente del ricorso e del decreto di fissazione di udienza al coniuge convenuto. Entrambe le parti avranno poi la possibilità – prima dell’udienza – di depositare ulteriori atti per precisare le domande e le richieste di prove. Quindi prima della prima udienza le parti potranno depositare ulteriori documenti e prove, così da dare al Giudice istruttore un quadro completo.

All’udienza il Giudice:

1) deve assumere i provvedimenti provvisori ed urgenti (affidamento dei figli, collocazione dei figli minori, assegnazione della casa coniugale, tempi e modalità di permanenza dei figli presso l’altro genitore non collocatario, assegno mensile per i figli, eventuale assegno di mantenimento del coniuge ecc.) che saranno esecutivi durante lo svolgimento della causa e potranno essere modificabili, revocabili in qualsiasi momento o, in talune circostanze appellabili;

2) deve decidere sull’ammissione dell istanze istruttorie: quindi valuta le prove, e valuterà, ad esempio se ascoltare, o meno, i testimoni, se far fare ad uno psicologo di sua fiducia (Consulente Tecnico d’Ufficio c.d. CTU) una consulenza per comprendere quale sia il genitore più idoneo a stare con i figli o potrà decidere di nominare un Consulente per esaminare i redditi/guadagni dei coniugi o che si presume non siano stati dichiarati, potrà decidere se far fare una indagine fiscale alla Polizia tributaria (Guardia di Finanza) ecc..

Nella separazione e divorzio giudiziale i figli – per i provvedimenti che li riguardano – devono sempre ascoltati dal Giudice istruttore quando hanno compiuto 12 anni ma anche di età inferiore quando hanno capacità di discernimento. Il Giudice istruttore li ascolta direttamente (c.d. ascolto diretto), generalmente alla prima udienza, e può farsi assistere da un professionista terzo (psicologo, neuropsichiatra infantile, ecc.) ossia da un esperto o ausiliario (c.d. ascolto assistito). L’ascolto è superfluo in caso di giudizi consensuali mentre è escluso sia se il bambino rifiuta espressamente di farsi ascoltare sia nei casi di evidente nocumento per il minore.

Conseguenze sulla difesa legale in caso di procedimento unico per la separazione e il divorzio

La scelta di “unire” separazione e divorzio in un’unica causa comporta una modifica nella modalità di redazione degli atti oltre che una specifica modulazione della difesa da parte dei legali.

L’atto, infatti, deve contenere la doppia richiesta di separazione e divorzio ma anche una doppia linea difensiva sulle domande economiche (che, tra l’altro, hanno presupposti diversi nelle due fasi) oltre che sulle disposizioni relative ai figli: ciò comporterà una ancora maggiore attenzione sulla scelta dell’Avvocato che dovrà essere un Professionista esperto in materia di diritto di famiglia capace di muoversi al meglio nell’articolata formulazione del ricorso introduttivo fin da subito altrimenti si rischierà di avere le armi spuntate in una causa che chiede alle parti di mettere sul tavolo le carte fin dal primo momento.

Questo permetterà di avere un’unica istruttoria che, quindi, garantirà una gestione dell’intero processo in minor tempo rispetto alla precedente necessità di attendere due giudizi (con relativi eventuali appelli!) per la definizione della questione familiare.

Complessa sarà l’interconnessione delle sentenze: la pronuncia finale, infatti, prevede condizioni temporali specifiche sulla decorrenza del successivo divorzio rispetto alla separazione e delle relative condizioni. Anche i Giudici, quindi, devono prestare maggiore attenzione a questi raccordi.

Questa strada sembra aprire uno spiraglio verso quello che sarebbe un intervento epocale in materia: ossia il divorzio diretto, senza prima dover passare dalla separazione. Un rito così orientato potrebbe, infatti, aiutare a fare definitiva breccia verso l’apertura del Legislatore a tale prospettiva.

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Fallimento del marito dopo la separazione: tutele per l’assegno di mantenimento della moglie

Quando, dopo la separazione, interviene il fallimento del marito obbligato a versare l’assegno di mantenimento alla moglie, per questa esistono tutele limitate.

In questo periodo post crisi economica potrà accadere spesso che un soggetto tenuto al pagamento di somme a titolo di mantenimento non possa rispettare tali pattuizioni per evidenti difficoltà economiche. In taluni casi queste difficoltà economiche possono diventare talmente croniche da sfociare in un fallimento.

Mensilità non pagate prima della pronuncia del fallimento

Nel caso in cui il marito avesse smesso di pagare l’assegno prima della pronuncia del fallimento, la moglie potrebbe insinuarsi al passivo per il credito relativo alle mensilità già scadute.

Gli ultimi tre mesi, tra l’altro, entrano a far parte dei crediti privilegiati cioè quei crediti che possono essere soddisfatti prima degli altri.

Mensilità non pagate successivamente al fallimento

Le mensilità successive alla pronuncia di fallimento non rientrano nella massa fallimentare quindi non trovano tutela fino al termine della procedura di liquidazione e rischiano, pertanto, di non essere mai ricevute dalla moglie.

La moglie in questo caso ha due possibilità per tentare di ricevere un sostegno economico.

Se il marito continua a percepire redditi da lavoro può chiedere al Giudice delegato di ricevere una parte della somma destinata al mantenimento del fallito.

Possibili rimedi per la moglie

La moglie, in ogni caso, ha diritto di chiedere al Giudice delegato per il fallimento del marito di ricevere un sussidio alimentare, dimostrando di non avere il necessario per provvedere ai suoi bisogni primari.

Le possibilità che questa richiesta trovi buon fine possono dipendere, anche, dall’eventuale attività lavorativa svolta dal marito e dall’entità dei beni personali rimastigli.

È opportuno precisare che:

  • se il marito è socio di una società per azioni o di una società di capitali, il fallimento di questa società sarebbe relativamente preoccupante per la moglie in quanto non andrebbe a toccare il patrimonio personale del marito che, pertanto, avrebbe maggiori possibilità di continuare a pagare l’assegno ed un’interruzione dei pagamenti dell’assegno di mantenimento dovuta al fallimento potrebbe essere facilmente smentita.

  • se il marito fosse titolare di una piccola impresa individuale o socio di una società di persone (snc, sas ecc.) o, ancora, lavoratore dipendente il fallimento sarebbe più preoccupante dato che coinvolgerebbe anche il patrimonio personale.

Cosa succede all’assegno di mantenimento in favore dei figli

L’assegno di mantenimento in favore dei figli segue la stessa disciplina di quello in favore del coniuge ad eccezione di una maggiore facilità di ottenere il sussidio alimentare in caso di bisogno della prole minorenne.

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Separazione e divorzio quando il coniuge (marito moglie) è irreperibile

Il coniuge può ottenere la separazione o il divorzio anche se il marito, o la moglie, è irreperibile. Succede più spesso di quanto si possa immaginare, soprattutto quando i coniugi non hanno figli, e da anni non hanno più contatto tra loro, che uno dei due si rivolga all’avvocato specializzato in diritto di famiglia dicendo: “vorrei separarmi (o divorziarmi) ma non so più dove abita mia moglie (o mio marito), ho anche provato a chiedere un certificato di residenza al Comune ma risulta irreperibile, e ora come faccio?”. Può, infatti, succedere che il coniuge non sia più rintracciabile al Comune dell’ultima residenza conosciuta perché, ad esempio, ha lasciato la casa familiare senza comunicare il nuovo indirizzo oppure non è stato trovato durante l’ultimo censimento o, ancora, è un italiano che si è trasferito all’estero senza iscriversi all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero) e neppure ha comunicato alcunché al Consolato italiano o – ed è il caso più ricorrente – è un cittadino straniero che ha lasciato l’Italia senza più dare alcuna notizia di sé.

In questi casi di irreperibilità è, comunque, sempre possibile ottenere la separazione (o il divorzio). Sarà tuttavia necessario iniziare un procedimento contenzioso. La separazione e il divorzio possono essere più veloci: in Tribunale la separazione e il divorzio si possono chiedere insieme, con un unico atto, con l’assistenza di un avvocato, preferibilmente un avvocato divorzista. Non c’è più bisogno di fare prima un ricorso per chiedere la separazione, e poi un secondo ricorso separato per domandare il divorzio: per avere direttamente il divorzio immediato basterà fare una domanda cumulativa.

La separazione non viene cancellata, ci sarà sempre: non si tratta quindi di un “divorzio senza separazione”, ma ora i tempi per ottenere prima la separazione e poi il divorzio breve si sono velocizzati. L’avvocato quindi depositerà per il proprio cliente un ricorso in Tribunale ed entro 3 giorni il Tribunale fisserà – con decreto – la prima udienza. L’udienza è fissata in tempi brevi, ossia entro 90 giorni dal deposito del ricorso.

Il ricorso ed il provvedimento di fissazione dell’udienza, dovranno essere notificati, secondo una specifica procedura, all’altro coniuge.

Non è invece possibile iniziare una separazione (o un divorzio) consensuale per il semplice fatto che all’altro coniuge non si potrebbe far sottoscrivere il ricorso di separazione (o di divorzio) in quanto è, appunto, irrintracciabile. Tuttavia, se – a seguito della notifica – anche l’altro coniuge dovesse comparire dinanzi al Tribunale, sarà possibile trasformare il procedimento da contenzioso a consensuale, a patto – ovviamente – che i coniugi trovino un accordo sulle condizioni.

Quando il coniuge è irreperibile bisognerà quindi chiedere l’assistenza di un avvocato perché deve provvedere ad effettuare la notifica dell’atto giudiziario con un’apposita procedura prevista dal Codice di Procedura Civile, solitamente presso l’ultima residenza nota, ma potrebbero essere necessari anche altri ulteriori accorgimenti.

All’udienza, qualora il Giudice dovesse ritenere che la notifica si sia perfezionala, e che quindi si sia instaurato il contraddittorio, dichiarerà la contumacia dell’altro coniuge. In sostanza, anche se l’atto giudiziario non sia stato effettivamente ricevuto, o ritirato, dal destinatario (quindi dall’altro coniuge), il Giudice riterrà la notifica come se fosse avvenuta e, quindi, riterrà l’atto come se fosse stato ricevuto. Tutto questo a condizione però che siano state rispettate, nella notifica, alcune regole di procedura civile a garanzia e a tutela del destinatario. Il Giudice a questo punto dichiarerà l’altro coniuge contumace, ossia lo considererà come se fosse presente in causa, e continuerà il processo civile fino ad arrivare alla sentenza.

L’assenza dell’altro coniuge – il quale tendenzialmente avrebbe potuto sia opporsi alle domande e sia proporne altre – rende generalmente la causa un po’ più veloce, potendosi così arrivare alla sentenza di separazione (o di divorzio) in tempi assai rapidi.

Per ottenere il divorzio sarà sufficiente che:

1) ci sia stata la separazione: basta anche semplicemente la sentenza “parziale” di separazione che viene emessa già dopo la prima udienza, senza dover attendere la conclusione della causa

2) siano trascorsi 6 o 12 mesi a seconda che la separazione sia stata pronunciata a seguito di un giudizio consensuale o giudiziale.

La causa di separazione o divorzio giudiziale si introduce sempre con un ricorso ma si arriva dal Giudice alla prima udienza già con tutto in modo che sia più facile (e veloce) decidere. Quindi l’avvocato dovrà subito inserire negli atti, in maniera dettagliata e completa, tutti i fatti più rilevanti e, soprattutto, tutti i mezzi di prova (documenti, ricevute, foto, testimoni ecc.). Considerando che il procedimento si svolgerà in contumacia e, quindi, l’attività istruttoria sarà più breve, sarà possibile ottenere il divorzio più velocemente.

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Qual è la differenza tra separazione legale e separazione di fatto

La separazione è un mezzo per risolvere la crisi coniugale previsto dalla legge italiana. Esiste una differenza sostanziale a seconda che questa sia legale o “di fatto”. In entrambi i casi essa è definibile come un periodo che precede l’eventuale scioglimento del matrimonio, destinato a permettere ai coniugi di “riflettere” sull’opportunità di porre fine al nucleo familiare oppure di ricostruirlo.

Quali sono le caratteristiche della separazione di fatto

La separazione legale è sancita da un provvedimento del Tribunale il quale autorizza i coniugi a vivere separati e regola le loro questioni patrimoniali e personali oltre che gli aspetti relativi ai figli compreso il diritto al mantenimento sia della prole che del coniuge più debole.

La separazione di fatto, invece, è una condizione scelta dai coniugi che decidono concordemente di terminare la convivenza matrimoniale, in genere prevedendo il trasferimento di uno dei due in un’abitazione diversa da quella familiare, senza ottenere alcuna autorizzazione dal Tribunale.

Non essendo prevista alcuna ratificazione le parti non sono obbligate a giungere ad una regolamentazione vincolante e formale dei rapporti economici e privati, neppure in relazione alla vita genitoriale ed al mantenimento dei figli.

Questa soluzione potrebbe essere considerata allettante per mettere fine alla convivenza senza dover affrontare onerose spese giudiziarie soprattutto nel caso in cui entrambi i coniugi sono economicamente autonomi e non avanzano pretese economiche né vi siano controversie sull’attribuzione di beni comuni.

I contro della separazione di fatto

La separazione di fatto rimane priva di qualsivoglia controllo di legittimità e giustizia, di conseguenza è preferibile non percorrere tale strada soprattutto se si hanno figli minori o questioni patrimoniali particolarmente complicate da definire. Sarebbe sempre auspicabile, infatti, ricorrere ad una soluzione che permetta di vedere tutelati i propri diritti di coniuge ed i diritti della prole possibilmente con un ausilio legale ai fini della composizione delle controversie relative alle questioni economiche.

Un’ulteriore differenza essenziale tra le due tipologie di separazione consiste nel fatto che quella legale può fungere da causa per ottenere lo scioglimento del matrimonio mentre la separazione di fatto no (con l’unica eccezione delle separazioni di fatto iniziate due anni prima il dicembre 1970, anno dell’approvazione della legge sul divorzio).

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Assegno di mantenimento: con la separazione il coniuge più debole ha diritto allo stesso tenore di vita che aveva nel matrimonio

La sentenza della Cassazione Berlusconi-Lario ha stabilito che in fase di separazione il coniuge più debole ha diritto ad avere un assegno di mantenimento parametrato sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Con la lettura di questa sentenza a molti è venuta in mente un’altra importante pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 11504/17, che invece aveva stabilito, pochi giorni prima, che non era dovuto l’assegno di mantenimento all’ex coniuge che risulti indipendente e autosufficiente anche solo potenzialmente.

La Corte di Cassazione ha, però, respinto il ricorso di Berlusconi, precisando che la sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 è andata a regolare la questione dell’assegno di mantenimento in caso di “divorzio”, e perciò, quando si verifica la cessazione dei doveri di solidarietà tra coniugi, mentre – in questo caso – alla base della discussione è stato posto l’assegno versato in sede di “separazione” da Berlusconi al coniuge separato. La Corte ha poi osservato che la separazione non elimina il vincolo coniugale e il coniuge più forte ha il dovere di garantire al coniuge separato lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. Le Sezioni Unite della Corte, in ogni caso, con la sentenza del 11 luglio 2018, n. 18287 hanno introdotto nuovamente il criterio del tenore di vita e del contributo fornito alla conduzione della vita familiare in una concezione “composita” dell’assegno di mantenimento.

Come si determina l’assegno di mantenimento

La Cassazione ha inoltre precisato che con la separazione non vengono meno gli aspetti di natura patrimoniale e quindi la misura dell’assegno viene stabilita considerando prima di tutto la condizione delle parti ed il loro reddito ma anche le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato alla famiglia e alla formazione del patrimonio di ciascuno, o di quello comune, il tutto valutato in relazione alla durata del matrimonio.

L’assegno a cui il coniuge debole separato ha diritto è di natura assistenziale avendo come scopo quello di rimediare al peggioramento delle condizioni economiche godute in costanza del matrimonio, avvenuto per colpa dello scioglimento del vincolo.

Valutare i redditi delle parti

Ai fini della valutazione dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno è necessaria, quindi, un’indagine comparatistica della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente e dell’obbligato con quella della coppia all’epoca del matrimonio.

Questa ricostruzione della posizione patrimoniale e reddituale serve per verificare che chi chiede l’assegno si trovi realmente in una posizione di debolezza e deve essere fatta esaminando le condizioni soggettive (età, professione, salute ecc.) del richiedente, anche sopravvenute, considerando ogni fattore economico, sociale, individuale, ambientale e territoriale.

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Separazione e divorzio: prevalenza dell’affidamento condiviso dei figli | Conflittualità mamma e papà

Dopo la separazione o il divorzio dei genitori il Tribunale tende a pronunciare con prevalenza l’affidamento condiviso dei figli anche se mamme e papà vivono un rapporto di forte conflittualità.

Quando il Tribunale deve decidere sulla sorte dei figli minorenni nel momento in cui la loro famigli a si disgrega, infatti, è tenuto a prendere provvedimenti che devono soddisfare un requisito fondamentale: preservare il loro interesse e il loro diritto alla bigenitorialità. Il giudice deve cioè assicurare ai figli la possibilità di crescere in un ambiente sereno, conservando rapporti significativi con entrambi i genitori anche dopo che il loro matrimonio o la loro unione sono terminati. È per questa ragione che la normativa pone in una posizione di privilegio l’affidamento condiviso.

Differenza tra affidamento e collocazione

 

Nel linguaggio comune, i concetti di “affidamento” e “collocazione” vengono confusi e spesso utilizzati impropriamente. In realtà tra i due termini vi è una sostanziale differenza.

Affidamento significa individuare il genitore che debba esercitare la responsabilità sui figli, prendendo sia le decisioni quotidiane che quelle di primario interesse per loro, con un coinvolgimento esclusivo del genitore nella vita del bambino ed un obbligo di educazione del figlio seguendo la sua crescita psicofisica.

Viceversa, la collocazione identifica unicamente il genitore con cui il figlio vive prevalentemente.

Negli ultimi anni i Giudici si esprimo con una prevalenza netta in favore di un affidamento condiviso dei figli con la collocazione presso uno dei due genitori, che, statisticamente, è più spesso la madre. Ciò significa che i figli continuano solitamente a vivere nella casa familiare con il genitore collocatario e che l’altro avrà il diritto e il dovere di collaborare alla loro educazione, dividendo con l’ex le responsabilità e gli obblighi della loro formazione, contribuendo al mantenimento ma anche alle scelte inerenti alla loro vite.

Le condizioni per l’affidamento condiviso

L’affidamento condiviso si caratterizza, quindi, non per l’esatta suddivisione dei tempi che il minore trascorre con l’uno o con l’altro genitore, ma per la condivisione delle scelte educative e formative e per la pari partecipazione comune alla vita del figlio. Lo scopo infatti è responsabilizzare i genitori nella tutela dei minori coinvolti.

Solo se l’affidamento a uno dei due genitori può danneggiare in modo concreto ed effettivo il figlio, l’opzione che verrà perseguita sarà quella dell’affido esclusivo all’altro genitore.

Si tratta però di casi estremi. Per fare solo alcuni esempi dovrebbe verificarsi una grave conflittualità tra minore e genitore o una situazione di maltrattamento del bambino o tossicodipendenza del papà o della mamma. La semplice conflittualità tra coniugi, invece, non costituisce motivo sufficiente per impedire l’affidamento condiviso. D’altronde, due persone possono decidere in qualsiasi momento di porre fine alla loro unione e ricominciare da zero, ma due genitori non dovrebbero mai sottrarsi ai loro doveri nei confronti dei figli.

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Sono valide le modifiche per migliorare gli accordi di separazione e divorzio decise da marito e moglie senza andare in Tribunale

Talvolta marito e moglie possono decidere modifiche agli accordi di separazione o divorzio che permettano di migliorare la condizione di entrambi. Queste modifiche sono valide anche senza ottenere l’assenso del Tribunale.

Gli accordi extra-separazione o divorzio

Andiamo con ordine e facciamo un esempio concreto tenendo presente che quanto diremo in relazione alle condizioni di separazione vale anche per le condizioni di divorzio. Marito e moglie decidono di separarsi. Insieme sono riusciti a regolare i rapporti economici e a definire le modalità di affido e collocazione dei figli minori ed il loro accordo è stato omologato dal Tribunale.

Dopo un paio d’anni dalla separazione il padre cambia lavoro. Potrà guadagnare di più, ma anche avere più tempo a propria disposizione. Decide quindi, di sua spontanea volontà, di aumentare il mantenimento mensile che paga alla moglie, per fornire un aiuto in più nella gestione delle spese quotidiane.

Inoltre, in accordo con lei, aumenta il numero di giorni di visita ai figli, che ora si fermano a dormire nella sua nuova casa anche un paio di sere infrasettimanali.

La moglie accetta di buon grado le novità, ma dopo qualche mese inizia a preoccuparsi per le possibili conseguenze che potrebbero derivare per una modifica degli accordi non approvata dal Tribunale. Teme, in particolare, che lo spontaneo aumento dell’assegno da parte del marito possa danneggiarla se fosse costretta a rimborsargli il denaro eccedente percepito.

Validità degli accordi tra le parti

Dobbiamo chiarire che, ormai nella prassi, è ammesso il valore delle modifiche pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione della separazione. L’unica condizione posta è che si tratti di modifiche migliorative non lesive dei diritti e i doveri delle parti in causa e dei figli.

La possibilità d’intervenire sugli accordi è ammessa non solo per ciò che riguarda gli aspetti economici, ma anche la gestione dei figli. In tal caso, naturalmente, ogni eventuale modifica è riconoscibile a patto che non venga sacrificato l’interesse dei minori. Ad esempio, non sarebbe possibile un’intesa che vieti ai figli di vedere il padre a fronte di un aumento della quota di mantenimento a loro destinata.

La “nuova” regolamentazione, non essendo stata ratificata dal Tribunale, vale solo informalmente. Questo significa che la moglie non dovrà restituire quanto recepito in più. Dall’altro lato se il marito dovesse venir meno ai nuovi accordi non formalizzati, la moglie potrà agire direttamente per il recupero.

In cado di inadempimento di una delle parti, infatti, fa fede solo quanto indicato nel verbale o nella sentenza di separazione. La moglie dovrebbe agire per chiedere la modifica delle condizioni secondo i nuovi accordi intervenuti di fatto, così da farli riconoscere ufficialmente e poterli far eseguire anche forzatamente.

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Religioni diverse dei genitori non condizionano l’affidamento del figlio | Separazione e divorzio

Due genitori possono professare religioni diverse: questo normalmente non influenza la decisione sull’affidamento del figlio nell’ambito del giudizio di separazione o divorzio. È indubbio, però, che esistono alcune scelte nella vita di una persona che possono incidere in maniera significativa sulla sua esistenza e, a volte, su quella delle persone che la circondano, come i familiari. La decisione di abbracciare una nuova fede potrebbe essere uno di questi casi.

Pensiamo ad una coppia in procinto di separarsi in cui la moglie si è appena convertita ad una nuova professione religiosa. Questa confessione prevede, per i fedeli più osservanti, il rifiuto di sottoporsi a trasfusioni di sangue o a trapianti di organi, col rischio di poter mettere in pericolo, in caso di gravi emergenze, la loro stessa vita.

Il marito ha delle forti perplessità in merito al nuovo credo della moglie che ha apportato un radicale cambiamento nelle sue abitudini e frequentazioni e teme che questa rivoluzione nella vita personale della donna possa influenzare anche la vita dei loro bambini. Per questo preferirebbe che potessero restare a vivere con lui.

La religione è una scelta libera difesa dalla Costituzione

 

La fede religiosa è espressione dell’individualità di ciascuno, rappresenta una libera scelta e, in quanto tale, è difesa dalla Costituzione Italiana. Convertirsi a una nuova fede rappresenta una decisione legittima alla quale nessuno può opporsi.

Per questa ragione, in sede di separazione o divorzio, la religione non può essere di per sé fattore discriminante sulla base del quale il Giudice può decidere o meno a chi affidare o collocare i minori. Perché questo avvenga, è necessario che sia dimostrato che le pratiche religiose messe in atto dal genitore possano arrecare danni psicologici, fisici o formativi al minore.

 

Le possibilità del marito di ottenere la collocazione dei figli dipendono dal fatto che riesca a dimostrare, durante la causa, che la conversione della moglie costituisce concretamente un fattore di rischio per i bambini. Oppure che, in virtù della nuova fede della mamma, i minori siano costretti a cambiare radicalmente il loro stile di vita, le abitudini e i rapporti sociali, provocando loro smarrimento, turbamenti e difficoltà relazionali.

La sola conversione della madre e l’eventuale difficoltà di conciliare le convinzioni ideologiche tra marito e moglie non basterà per ottenere la collocazione dei figli.

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Rapporto tra assegno di mantenimento e tenore di vita matrimoniale: dipende dai redditi | Separazione

L’assegno di mantenimento riconosciuto in fase di separazione dovrebbe permettere al coniuge che lo richiede di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio. Tale rapporto è garantito solo dopo la valutazione dei redditi dell’obbligato da parte del Giudice.

Consideriamo, ad esempio, il caso di una famiglia composta da tre persone: madre, padre e figlio. I coniugi sono entrambi impiegati, ma la mamma lavora part-time, così da poter trascorrere più tempo con il bambino. La famiglia, per tutta la durata della convivenza coniugale, ha mantenuto un tenore di vita ben al di sopra delle proprie possibilità, al punto tale che il marito, per poter far fronte alle numerose spese, ha contratto debiti con diverse società che erogano prestiti personali, il tutto all’oscuro della moglie.

Durante un’eventuale fase di separazione la moglie potrebbe pretendere un assegno di mantenimento parametrato allo stile di vita sostenuto fino a quel momento, ma l’immaginazione si scontrerebbe con il colore del conto in banca, il rosso!

Il processo di determinazione dell’assegno di mantenimento

E’ vero che di fronte alla richiesta di un assegno di mantenimento in fase di separazione, il Giudice deve valutare in via principale il tenore di vita mantenuto dalla coppia durante la convivenza coniugale e analizzare se il diritto all’assegno esista realmente.

Perché sia riconosciuta l’esistenza del diritto è, però, necessario che al richiedente non venga addebitata la separazione e dimostri di non avere i mezzi idonei a mantenere lo stile di vita precedente, né di poterli procurare per ragioni oggettive.

Infine, il giudice dovrà stabilire se la separazione abbia provocato uno sbilanciamento tra le risorse economiche del marito e quelle della moglie. In questo senso, non è necessario che il coniuge richiedente versi in stato di bisogno, essendo sufficiente dimostrare che le risorse di cui dispone non bastano a garantire il tenore di vita goduto in precedenza.

Quando il tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza non è affatto sostenibile per le loro capacità reddituali, però, il Giudice non potrà considerarlo come il parametro di riferimento per la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Rapporto tra stile di vita e redditi

Il Giudice, quindi, è obbligato ad effettuare una disamina della vera situazione patrimoniale e reddituale di entrambi per desumere il tenore di vita reale che la famiglia è in grado di mantenere. A quel punto, solo in presenza di un’effettiva disparità di risorse tra i coniugi, potrà arrivare a definire l’ammontare dell’eventuale assegno.

Dobbiamo considerare che l’assegno può essere riconosciuto solo compatibilmente con il reddito ed il patrimonio dell’obbligato. Laddove, quindi, per una difficoltà economica, non sia possibile mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, l’assegno dovrà rispettare questa evidenza. Grazie alla sconsideratezza del marito, quindi, la famiglia di cui abbiamo tratteggiato l’ipotetico profilo, dopo la separazione, si troverà con ogni probabilità a doversi adattare ad uno stile di vita molto inferiore al precedente.

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Negoziazione assistita: rivoluzione in tema di separazione e divorzio se c’è accordo tra i coniugi

Una rivoluzione epocale: l’introduzione della negoziazione assistita permette ai coniugi che sono d’accordo di ottenere la separazione e il divorzio fuori dalle aule dei Tribunali.

La coppia che decide di separarsi o divorziare in maniera consensuale oggi ha a disposizione due nuove opzioni alternative a quella giudiziale: la negoziazione assistita con l’intervento degli avvocati o la dichiarazione davanti a un Ufficiale di Stato Civile, come ad esempio il Sindaco.

Entrambe le procedure evitano alla coppia di doversi recare in Tribunale e permettono di ridurre i tempi rispetto all’iter giudiziario.

La negoziazione assistita

 

La negoziazione assistita consiste in un accordo sottoscritto dai coniugi (la cosiddetta convenzione di negoziazione) tramite il quale la coppia che vuole separarsi o divorziare, assistita dai rispettivi avvocati, si può accordare sia sulle questioni patrimoniali (come ad esempio l’utilizzo della casa familiare o l’assegno di mantenimento) sia su quelle relative all’affidamento dei figli.

Una volta predisposta la convenzione, gli avvocati devono autenticare le firme, depositare il documento presso la Procura della Repubblica e attendere il nulla osta (o l’autorizzazione) del Procuratore.

La dichiarazione all’ufficiale di stato civile

 

In alternativa i coniugi possono decidere di dichiarare la volontà di separarsi o divorziare in presenza dell’Ufficiale di Stato civile del comune di residenza di uno dei due o del comune in cui è iscritto l’atto di matrimonio.

Questa seconda opzione può essere intrapresa anche senza ricorrere all’assistenza di un avvocato. Ci sono però due limitazioni da prendere in considerazione: la dichiarazione può essere scelta soltanto dalle coppie che non hanno figli minori, non autosufficienti o portatori di handicap e non prevede la possibilità di inserire nell’accordo disposizioni patrimoniali, come ad esempio l’assegno di mantenimento in unica soluzione o il trasferimento di beni immobili.

È permessa, invece, la pattuizione relativa all’assegno di mantenimento mensile in favore del coniuge.

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore l’11 novembre 2014, da allora, però, sono iniziati alcuni problemi gestionali: da un lato le procure non erano pronte a gestire gli elevanti volumi di negoziazioni che sono state presentate e, dall’altro, anche i Comuni hanno avuto la difficoltà nell’attrezzare gli uffici preposti a raccogliere le dichiarazioni dei separandi e divorziandi. Si sono creati, quindi, ritardi e attese nelle evasioni delle procedure quasi più lunghi di quelli previsti per la fissazione delle udienze in Tribunale.

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Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze

Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.

Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa

 

Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.

In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.

Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.

Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento

 

Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.

Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.

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Coppia mista: ammessa la scelta di legge per separazione e divorzio

Nella separazione o nel divorzio di una coppia mista è ammessa la scelta della legge da applicare durante il giudizio in base a quanto disciplinato dal Regolamento UE 1259/10.

Spread, crisi greca, troika, emergenza profughi, sembra che l’Europa di cui tanto sentiamo parlare sia tutta qui. Al di là del populismo, diciamo una verità quando diciamo che siamo ancora distanti da quel modello ideale di Stati Uniti d’Europa che ci era stato fatto immaginare. Eppure l’Unione Europea non si limita a regolare cambi e borsa, ma anche molti settori della vita quotidiana di noi cittadini.

Da qualche anno, anche se un po’ in sordina, è entrato in vigore il predetto Regolamento n. 1259/10 che ha portato una grossa innovazione in tema di separazione e divorzio. Il regolamento è rivolto a quelle coppie miste ossia formate da marito e moglie di diverse nazionalità.

 

La norma è applicabile anche per moglie e marito che hanno vissuto in diverse parti del mondo e che, di fronte alla scelta di separarsi o di divorziare, avrebbero potuto incontrare difficoltà nella scelta della legge applicabile, o magari avrebbero dovuto affrontare spese e disagi dovuti allo svolgimento del procedimento in un paese diverso da quello di residenza.

Cosa prevede il regolamento 1259/2010

Il regolamento 1259/2010 lascia alla coppia la possibilità di scegliere la legge che vogliono applicare in caso di crisi coniugale in base a specifici criteri.

La coppia mista può scegliere di adottare la legge dello Stato dell’attuale residenza oppure quella dello Stato dell’ultima residenza comune, a patto che uno dei due vi risieda ancora.

In alternativa, la coppia può decidere di rifarsi alla legge dello Stato di cui sono cittadini o ancora alla legge del foro, cioè dello Stato dove si svolge il procedimento giudiziario.

Affinché tale decisione sia valida, è necessario che i coniugi firmino una dichiarazione che indichi la legge applicabile al fine di conoscere le conseguenze giuridiche e sociali cui vanno incontro facendo quella precisa scelta.

La dichiarazione dovrà essere fatta in qualsiasi momento dopo le nozze basta che sia precedente alla separazione o al divorzio.

Una simile libertà di scelta garantisce a marito e moglie molta autonomia e soprattutto risponde a esigenze pratiche, concrete. Prendiamo per esempio, due coniugi italiani residenti all’estero potranno chiedere la separazione davanti a un Giudice italiano, senza dover affrontare le difficoltà di un processo in terra straniera.

Ed, ancora, laddove la legge prescelta lo consenta, i coniugi potrebbero immediatamente divorziare senza dover prima separarsi come avviene in Italia o, ancora, potrebbero far valere gli accordi prematrimoniali, possibilità che da noi non è ancora ammessa.

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