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Coppia lesbica: avere un figlio è possibile ma non in Italia

Neppure dopo la Legge Cirinnà una coppia lesbica, e più in generale, omosessuale. può avere un figlio in Italia accedendo alle procedure di procreazione medicalmente assistita o di utero in affitto.

Tali attività sono rimaste escluse dalla regolamentazione della riforma che ha riconosciuto i diritti delle coppie omosessuali dopo un durissimo scontro parlamentare e di opinione pubblica.

L’accesso alla fecondazione assistita in Italia

Nel nostro paese è in vigore la legge n. 40/2004 la quale all’articolo 4 stabilisce che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie maggiorenni di sesso diverso in età potenzialmente fertile solo se coniugate o conviventi.

Le due precisazioni in ordine alla diversità dei sessi ed alla stabilità della coppia sembrano configurare una discriminazione che richiama la concezione di famiglia “tradizionale” molto cara ad alcune parti politiche.

La possibilità di ricorrere all’utero in affitto o, meglio, maternità surrogata, invece, non è regolamentata in Italia rimanendo – allo stato – una procedura illegale.

Una coppia lesbica italiana che desidera un figlio, quindi, può unicamente ricorrere alla fecondazione assistita all’estero con seme di donatore anonimo.

L’accesso alla fecondazione assistita in Europa

In molti paesi europei la fecondazione assistita è concessa sia alle coppie sposate che conviventi, anche omosessuali, che alle donne single.

Belgio, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Olanda, Grecia, Spagna e Svezia sono alcune delle nazioni europee che permettono anche a donne single di accedere alla procedura di fecondazione assistita. A seconda della legislazione vigente viene concessa alla donna la possibilità di utilizzare ovociti propri (es. in Danimarca) oppure di donatrici terze.

Ovviamente i costi per tale procedura non sono ridotti.

Effettuare un tentativo di inseminazione può costare anche dai 2’000,00 ai 7’000,00 Euro a seconda del paese prescelto, senza contare le spese per il viaggio ed il soggiorno all’estero.

Resta, in ogni caso, una scelta dai costi più contenuti rispetto alla maternità surrogata la quale può richiedere una spesa anche superiore ai 50’000,00 Euro che, però, è una pratica meno opzionata dalle coppie lesbiche (indagini statistiche riferiscono che il 95% delle coppie che ricorre ad una maternità surrogata sono eterosessuali con difficoltà a concepire).

Stepchild adoption

L’adozione del figlio biologico del partner è rimasta anch’essa esclusa dalla regolamentazione della Legge Cirinnà con un’importante eccezione. Il Parlamento, infatti, ha lasciato la possibilità alla magistratura di pronunciarsi sulla possibilità di applicare, anche in caso di coppie gay, la disciplina dell’adozione del figlio del coniuge (legge n. 184/1983).

In questo modo anche il genitore omosessuale non biologico può ottenere il riconoscimento della condizione genitoriale in Italia, seppur a seguito di un iter giudiziario talvolta lungo e difficoltoso.

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Coppie di fatto: possibile la richiesta di assegno alimentare | Stato di bisogno dell’ex convivente

La Legge Cirinnà regolamenta alcuni aspetti giuridici relativi alle coppie di fatto. In particolare per l’ex convivente in stato di bisogno è adesso possibile ottenere un assegno alimentare.

Fino a poco tempo fa una persona che interrompeva una convivenza non poteva avanzare nessuna pretesa nei confronti dell’altra sia dal punto di vista morale che, soprattutto, economico.

Ricordiamo che quando parliamo di coppie di fatto nell’ambito della Legge Cirinnà ci riferiamo sia a coppie eterosessuali che a coppie omosessuali.

Per fare un esempio relativo alla casistica trattata possiamo immaginare una coppia omosessuale che convive da qualche anno. Uno, più giovane, senza un’entrata fissa mentre l’altro un normalissimo impiegato.

Il convivente ha diritto all’assegno di mantenimento?

 

Fino ad un anno fa se la coppia che abbiamo descritto si fosse lasciata ognuno avrebbe preso la sua strada senza poter avanzare alcuna richiesta di assegno.

Con la Legge Cirinnà il convivente “più debole” ha la possibilità di ricorrere in Tribunale per ottenere il riconoscimento di una somma di denaro periodica che, però, non è pari al mantenimento previsto in caso di separazione o divorzio di due coniugi o, ancora, di scioglimento di un’unione civile.

Il diritto previsto per il convivente è quello di ricevere un assegno alimentare.

Quali sono i presupposti dell’assegno alimentare e chi è obbligato

 

Per poter ottenere l’assegno alimentare la parte richiedente, nel nostro caso la persona che non ha lavoro, deve dare la prova di essere in condizione di bisogno e di non essere in grado di provvedere a soddisfare le necessità primarie ed essenziali.

A differenza dell’assegno di mantenimento che viene determinato anche valutando i redditi delle parti ed il tenore di vita goduto dalla coppia, nell’assegno alimentare è prevista la concessione di una somma che potremmo definire pari al “necessario per vivere” da individuarsi comunque in base alle possibilità reddituali dell’obbligato.

La prestazione alimentare, inoltre, potrà essere concessa solo per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, quindi limitato nel tempo. È facile capire che l’assegno alimentare non solo dura per un tempo predefinito ma è anche di importo molto inferiore rispetto all’assegno di mantenimento.

Per finire bisogna precisare che prima del convivente obbligati a versare l’assegno sono i genitori ed i figli di chi lo richiede.

Tornando alla nostra coppia, pertanto, se il partner senza lavoro dovesse chiedere gli alimenti in Tribunale dovrebbe versarli l’ex convivente solo nel caso in cui lui non avesse più il padre o la madre o se questi non avessero le disponibilità economiche per provvedervi.

In ogni caso l’inserimento del convivente tra gli obbligati a versare l’assegno è una grande novità introdotta dall’Ordinamento nell’ottica della tutela di una situazione di fatto come la convivenza.

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Divorzio senza ottenere la separazione: possibile in Svizzera

La Svizzera è uno dei tanti Stati in cui è consentito chiedere il divorzio senza obbligatoriamente passare per la separazione, contrariamente a quanto avviene in Italia, ed anche il procedimento è un po’ diverso dal nostro.

I tipi di divorzio in Svizzera

L’attuale diritto svizzero riconosce vari procedimenti di divorzio. Il primo è quello su richiesta comune. Riguarda ad esempio quelle coppie che concordemente decidono di porre fine al loro matrimonio. Marito e moglie presentano al Giudice un “contratto” completo che mira a regolare ogni rapporto tra i due, dall’aspetto patrimoniale agli eventuali accordi sull’affidamento dei figli. Tale convenzione dovrà essere esaminata dal Giudice, il quale potrà convocare i coniugi insieme, o separatamente, per assicurarsi la bontà dell’accordo così da ottenere l’omologazione e la pronuncia di divorzio.

Il secondo è quello su domanda unilaterale dopo due anni di vita separata. Ipotizziamo ad esempio che marito e moglie si trovino a dover affrontare una grave crisi coniugale. Litigi frequenti, scatenati dalle più futili motivazioni, inducono i due a prendersi una pausa di riflessione. Marito e moglie quindi interrompono la convivenza. Dopo due anni di distanza, la moglie, che nel frattempo ha conosciuto un altro uomo, si convince che la relazione è ormai giunta al capolinea e decide di chiedere il divorzio.

Se il marito rifiuta l’idea del divorzio la moglie può avanzare una richiesta unilaterale che darà inizio a un procedimento contenzioso, nel quale sarà il Giudice a stabilire tutte le condizioni.

La terza via è “ibrida”. Se i coniugi concordano sul voler divorziare ma sono in contrasto su alcuni punti (ad esempio, sull’assegnazione della casa coniugale) si è in presenza di un divorzio su richiesta comune con accordo parziale. In questo caso, a differenza del procedimento italiano, il Giudice analizzerà l’accordo, anche se circoscritto solo ad alcuni punti e, se ritenuto idoneo, lo omologherà, mentre continuerà la causa per gli aspetti ancora controversi.

La legge svizzera riconosce anche la possibilità di divorziare per rottura del vincolo coniugale quando, per motivi gravi vengono a mancare i presupposti per continuare il matrimonio. In questi casi è possibile ottenere il divorzio anche se non sono trascorsi due anni dalla fine della convivenza. Ciò vale ad esempio nei casi di molestie o di tradimento.

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Divorzio in Brasile: procedura veloce e possibile fuori dal Tribunale

In Brasile, come in molti altri paesi stranieri, è possibile ottenere il divorzio con una procedura veloce senza l’obbligo di recarsi in Tribunale.

La negoziazione assistita ed il divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile, da poco introdotti in Italia, ci sono sembrati novità assolute, eppure come abbiamo detto in molti paesi esteri divorziare fuori dalle aule dei Tribunali è la prassi per ottenere pronunce veloci.

Chi fosse interessato ad ottenere il divorzio in Brasile, però, vorrebbe sicuramente avere la certezza che anche in Italia il divorzio venisse riconosciuto.

Sarebbe naturale, quindi, per un marito italiano avere dei dubbi sull’efficacia del procedimento di divorzio brasiliano così come prospettato dalla moglie carioca. Ma con la giusta informazione i dubbi potrebbero essere facilmente superati.

La riforma brasiliana sul divorzio consensuale

 

Nel 2011, il governo verdeoro ha notevolmente accorciato i tempi e le modalità per richiedere il divorzio.

Se non si hanno figli a carico e in presenza di un accordo tra marito e moglie, è possibile ottenere un divorzio immediato, mediante una procedura stragiudiziale. Per farlo i coniugi devono recarsi dinanzi ai cosiddetti Cartori Civili, figure assimilabili ai notai italiani, davanti ai quali ratificare gli accordi di divorzio.

Questa opzione consente ai coniugi di divorziare velocemente e in modo economico con un procedimento che, pur non essendo di natura giudiziale, produce gli stessi effetti di una sentenza del Tribunale.

Per questa ragione, è possibile ottenerne il riconoscimento anche in Italia: non è obbligatorio che il divorzio sia pronunciato da un Tribunale ma basta che l’atto ottenuto abbia gli effetti di una sentenza e certifichi la fine del matrimonio in modo irrevocabile.

Rivolgendosi alle figure opportune, quindi, anche se ci troviamo in uno stato straniero possiamo vedere tutelati i nostri diritti e fare in modo che, così come modificati, siano riconosciuti anche nel nostro paese.

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