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Possibili aiuti statali in caso di genitori in difficoltà non solo economica

Essere genitori significa poter attraversare un momento di difficoltà, non solo economica, ed avere problemi nell’educazione dei propri figli. In questi casi è possibile ottenere appositi aiuti statali che permettono al genitore di superare la problematica e dimostrare la propria capacità genitoriale.

Prendiamo l’esempio di una madre single con due bimbi piccoli da crescere ha recentemente perso il lavoro e non è più in grado di pagare l’affitto della casa in cui vive con i figli. La maestra di uno dei bambini ha allertato gli assistenti sociali, e la madre teme che i figli le possano essere tolti.

Questa può essere una paura legittima quando ci si sente accerchiati e privi di possibilità. Quello che dobbiamo tenere presente, però, è che la normativa che protegge i minori, e regolamenta le procedure di adozione, ha il primario obiettivo di tutelare i bambini e di salvaguardare il loro benessere e la loro integrità psicofisica. Se questo, a volte, implica il dover allontanare il minore dalla famiglia, è importante sottolineare che i Tribunali decidono in tal senso solo nel caso in cui siano del tutto convinti, ed abbiano prove concrete, che la famiglia biologica non sia in grado di prendersi cura al meglio del bambino. In caso di difficoltà i genitori dovrebbero attivarsi per primi per chiedere sovvenzioni o aiuti allo Stato, dimostrando così di reagire ai problemi e di essere in grado di crescere ed educare al meglio i propri figli, senza aspettare passivamente l’intervento di terzi.

Gli interventi a sostegno della famiglia

 Le condizioni di indigenza della madre non sono ritenute sufficienti a privare i figli minorenni del diritto alla loro famiglia. Proprio per dare supporto, anche preventivo, ai genitori esisto enti in grado di fornire aiuti sia economici sia psicologici alle famiglie in stato di difficoltà. Lo Stato e le Regioni, ad esempio, corrispondono assegni periodici alle famiglie bisognose, mentre i comuni gestiscono l’assegnazione di case popolari a coloro che ne fanno richiesta, in base alla graduatoria delle domande che è agevolata in caso di presenza di uno o più figli piccoli. Infine, molto spesso lo Stato garantisce anche incentivi alle imprese che decidono di assumere genitori con figli minori a carico.

L’impegno della famiglia è fondamentale per dimostrare la capacità genitoriale

 I genitori che si trovano in difficoltà devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per porre rimedio alle difficol che stanno affrontando: la madre potrebbe iscriversi ai centri per l’impiego, presentare domanda per un alloggio popolare o rivolgersi ai professionisti messi a disposizione dalle istituzioni per ricevere supporto economico o psicologico. In questo modo gli assistenti sociali potrebbero capire che la madre ha il controllo di sé e dei figli e sta cercando di fare il possibile per superare la situazione di difficoltà e procederanno con un intervento di supporto ed assistenza, che sia conservativo del rapporto madre-figlio, senza drastici allontanamenti.

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Diritti coppie gay e unione civile: la pensione indiretta in caso di morte del partner non pensionato

Oltre alla pensione di reversibilità, la celebrazione dell’unione civile concede alle coppie gay svariati diritti quali la pensione indiretta in caso di morte del partner non pensionato.

La pensione di reversibilità, infatti, è lo strumento che serve a tutelare il coniuge superstite nel caso in caso di morte dell’altro quando quest’ultimo sia già pensionato.

Con la Legge Cirinnà e con i successivi decreti attuativi dell’unione civile, l’applicazione di tale strumento di tutela è stata estesa anche nel caso di coppie omosessuali unite civilmente.

Ma cosa accade quando la persona deceduta non percepisce ancora una pensione? 

Dobbiamo subito chiarire che, in caso di morte del lavoratore, sono previste prestazioni economiche in favore del coniuge, o del partner unito civilmente, anche nel caso in cui il lavoratore non percepiva ancora una pensione ma aveva comunque raggiunto alcuni livelli contributivi previsti dalla legge.

La pensione indiretta: cos’è e quali quote sono previste per il superstite

 

È la prestazione economica prevista in favore del coniuge, o del partner unito civilmente, del lavoratore defunto nel caso in cui quest’ultimo non abbia raggiunto il diritto ad ottenere la pensione ma possa vantare, al momento del decesso, almeno 780 settimane di contributi oppure 260 settimane di contributi di cui almeno 156 nel quinquennio antecedente la data del decesso.

Come la reversibilità, la pensione indiretta spetta a partire dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuta la morte del congiunto a prescindere dal momento in cui viene presentata la domanda e i beneficiari posso essere anche i figli minori, disabili o studenti universitari se a carico del genitore, oppure i nipoti che alla morte del nonno o della nonna erano a loro totale carico (in mancanza anche i genitori che abbiano più di 65 anni e non siano titolari di pensione, o ai fratelli e sorelle se inabili e a carico).

La somma erogata a favore di chi ha diritto è calcolata sulla base di una percentuale della “pensione” maturata e, a titolo puramente orientativo, corrisponde al 60% se il beneficiario è il solo coniuge, o il solo partner unito civilmente (che giuridicamente è equiparato al coniuge), al 70% se il beneficiario è solo un figlio, all’80% se sono presenti il coniuge (o il partner) ed un figlio e al 100% se vi è il coniuge (o il partner) con due o più figli.

Indennità per morte versata in un’unica soluzione

 

Quando il lavoratore deceduto non ha raggiunto i requisiti per ottenere la pensione e neppure i limiti contributivi previsti per l’accesso alla pensione indiretta, ai suoi familiari spetta solo un’indennità erogata una sola volta, solitamente determinata moltiplicando il valore dell’assegno sociale per il numero di anni di contribuzione effettivamente versati dal familiare scomparso. In questo caso la domanda va presentata entro un anno dalla morte pena la perdita del diritto.

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Assegnazione casa familiare: disposta anche se i genitori non sono sposati | Convivenza e coppie di fatto

Tutti i figli godono degli stessi diritti, che derivano loro dallo status di figlio e non dal fatto di essere nati durante il matrimonio dei genitori. Ciò ha dirette implicazioni per le coppie di conviventi. In caso di cessazione della convivenza, infatti, se si è in presenza di figli, i genitori devono rispettare le regole previste  per le coppie sposate, che si separano, in materia di affidamento e mantenimento dei figli e assegnazione della casa familiare. Lo scopo è quello di tutelare i figli e i loro interessi.

La casa familiare dopo la rottura della convivenza

Il concetto di assegnazione della casa familiare veniva solitamente associato a una procedura di separazione. Oggi è ormai assodata la possibilità di procedere con la decisione sulla casa anche di fronte alla fine di una convivenza more uxorio. La casa familiare, come luogo di protezione naturale del bambino, infatti, è strettamente legata ai suoi bisogni ed alle sue esigenze. Per questo motivo le decisioni che la coinvolgono sono influenzate dalla presenza di un figlio. Del resto se due conviventi diventano genitori contraggono gli stessi e identici obblighi nei confronti dei figli rispetto a due genitori sposati. Il principio di responsabilità genitoriale, infatti, deriva dalla maternità e dalla paternità, non dal matrimonio.

Di fronte alla nascita di un bambino, quindi, i genitori conviventi hanno il dovere di far fronte a tutte le sue esigenze, anche nel momento in cui la convivenza dovesse interrompersi. Come durante una separazione, infatti, la fine di una convivenza può rappresentare per il figlio un momento particolarmente difficile. Il bambino potrebbe faticare, soprattutto nei primi tempi, ad accettare il distacco da uno dei due genitori. Si tratta di una fase molto delicata, soprattutto se il figlio coinvolto è molto piccolo: l’iniziale spaesamento per la mancanza di uno dei suoi punti di riferimento potrebbe provocargli stress, sofferenza e, in generale, una sensazione di disagio. Naturalmente, la situazione si complica se questa fase di distacco è accompagnata da un clima di accesa conflittualità, determinato da contese tra i genitori.

Per queste ragioni a tutela del minore si cerca di limitare, per quanto possibile, ogni ulteriore significativo cambiamento che potrebbe turbarlo, primo tra tutti l’improvviso cambio di casa.

Nella grande maggioranza dei casi, quando due genitori ex conviventi si trovano dinanzi al Tribunale per la definizione dell’affidamento e del mantenimento dei figli, il Giudice assegna la casa familiare al genitore prevalentemente convivente con loro, proprio per i motivi che abbiamo accennato. Ciò vale indipendentemente dalla proprietà dell’immobile: l’assegnazione viene effettuata senza badare al fatto che essa appartenga ad uno solo dei genitori o sia in comproprietà. In sostanza l’eventuale proprietario non assegnatario resterà proprietario dell’immobile ma dovrà andare a vivere da un’altra parte.

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