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Sono valide le modifiche per migliorare gli accordi di separazione e divorzio decise da marito e moglie senza andare in Tribunale

Talvolta marito e moglie possono decidere modifiche agli accordi di separazione o divorzio che permettano di migliorare la condizione di entrambi. Queste modifiche sono valide anche senza ottenere l’assenso del Tribunale.

Gli accordi extra-separazione o divorzio

Andiamo con ordine e facciamo un esempio concreto tenendo presente che quanto diremo in relazione alle condizioni di separazione vale anche per le condizioni di divorzio. Marito e moglie decidono di separarsi. Insieme sono riusciti a regolare i rapporti economici e a definire le modalità di affido e collocazione dei figli minori ed il loro accordo è stato omologato dal Tribunale.

Dopo un paio d’anni dalla separazione il padre cambia lavoro. Potrà guadagnare di più, ma anche avere più tempo a propria disposizione. Decide quindi, di sua spontanea volontà, di aumentare il mantenimento mensile che paga alla moglie, per fornire un aiuto in più nella gestione delle spese quotidiane.

Inoltre, in accordo con lei, aumenta il numero di giorni di visita ai figli, che ora si fermano a dormire nella sua nuova casa anche un paio di sere infrasettimanali.

La moglie accetta di buon grado le novità, ma dopo qualche mese inizia a preoccuparsi per le possibili conseguenze che potrebbero derivare per una modifica degli accordi non approvata dal Tribunale. Teme, in particolare, che lo spontaneo aumento dell’assegno da parte del marito possa danneggiarla se fosse costretta a rimborsargli il denaro eccedente percepito.

Validità degli accordi tra le parti

Dobbiamo chiarire che, ormai nella prassi, è ammesso il valore delle modifiche pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione della separazione. L’unica condizione posta è che si tratti di modifiche migliorative non lesive dei diritti e i doveri delle parti in causa e dei figli.

La possibilità d’intervenire sugli accordi è ammessa non solo per ciò che riguarda gli aspetti economici, ma anche la gestione dei figli. In tal caso, naturalmente, ogni eventuale modifica è riconoscibile a patto che non venga sacrificato l’interesse dei minori. Ad esempio, non sarebbe possibile un’intesa che vieti ai figli di vedere il padre a fronte di un aumento della quota di mantenimento a loro destinata.

La “nuova” regolamentazione, non essendo stata ratificata dal Tribunale, vale solo informalmente. Questo significa che la moglie non dovrà restituire quanto recepito in più. Dall’altro lato se il marito dovesse venir meno ai nuovi accordi non formalizzati, la moglie potrà agire direttamente per il recupero.

In cado di inadempimento di una delle parti, infatti, fa fede solo quanto indicato nel verbale o nella sentenza di separazione. La moglie dovrebbe agire per chiedere la modifica delle condizioni secondo i nuovi accordi intervenuti di fatto, così da farli riconoscere ufficialmente e poterli far eseguire anche forzatamente.

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Quali tutele ha la moglie se il marito vende tutto per non pagare l’assegno di mantenimento | Sequestro e ipoteca

Quando il marito deve pagare l’assegno di mantenimento (o di divorzio) alla moglie ma, tentando di evitarlo, vende buona parte dei suoi beni, la moglie può azionare precise tutele giudiziarie come il sequestro e l’ipoteca.

Quando iniziare a temere il mancato versamento dell’assegno

 

Affrontiamo, come sempre, un esempio concreto che possa permettere di comprendere l’operatività della disciplina. Marito e moglie sono separati. Lui è titolare di una piccola impresa e proprietario di diversi immobili. Lei, ex dipendente, ha lasciato il lavoro durante la convivenza matrimoniale per poter badare ai figli.

La sentenza di separazione le ha riconosciuto un assegno di mantenimento periodico oltre all’assegnazione della casa familiare, nella quale vive con i figli ancora minorenni.

Il marito, seppur rispettando l’accordo si è sempre lamentato dell’elevata cifra da versare. Dopo qualche tempo la moglie viene a sapere dell’intenzione del marito di mettere in vendita tutti gli immobili in suo possesso e di voler cedere, quanto prima, anche la sua attività. Incredula e spaventata teme di restare improvvisamente senza assegno di mantenimento, di fatto l’unica fonte di sostentamento di cui dispone.

A questo punto è opportuno che la moglie agisca per tutelare il suo credito ed evitare di rimanere sorpresa dalle mosse del marito.

Le garanzie per il beneficiario dell’assegno di mantenimento

 

Quando la prospettiva che l’obbligato smetta di versare l’assegno di mantenimento diventa concreta e reale (es. perché vende molti beni di proprietà o smette inspiegabilmente di lavorare, tutte cose che fanno dubitare della possibilità di continuare a versare una somma mensile, magari elevata), il beneficiario ha diversi strumenti a disposizione mediante i quali assicurarsi il rispetto dei propri diritti.

 

In caso di fallimento dell’impresa che fa capo al coniuge che versa l’assegno, ad esempio, si può chiedere che vengano effettuati dei sequestri conservativi; in altri termini, i beni mobili o immobili sottoposti a sequestro conservativo vengono bloccati e successivamente pignorati, a garanzia del proprio credito.

Il coniuge titolare di un assegno di mantenimento, tra l’altro, è considerato un creditore privilegiato: ciò significa che in qualsiasi circostanza avrà la priorità di liquidazione rispetto ad eventuali altri creditori.

 

Esiste poi un ulteriore strumento che il beneficiario dell’assegno può utilizzare: si tratta dell’iscrizione di ipoteca. L’iscrizione può essere applicata sia sui beni disponibili, nel momento in cui viene emessa la sentenza di separazione (o di divorzio), sia su quelli che il debitore acquista in una fase successiva.

Si tratta di una pratica applicabile non solo in caso di separazione giudiziale, ma anche in caso di separazione consensuale (così come in fase di divorzio). L’iscrizione è esente da imposta ipotecaria, ma è bene sapere che se i presupposti vengono meno, il coniuge debitore potrà chiedere al Giudice la cancellazione dell’ipoteca o una riduzione della somma ipotecata.

È opportuno precisare che non costituiscono titolo per l’iscrizione di ipoteca i provvedimenti temporanei e urgenti che il Giudice emette in attesa della sentenza di separazione o del divorzio, quando il tentativo di conciliazione tra i due coniugi previsto dal procedimento giudiziale non va a buon fine.

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La mediazione familiare, un aiuto per risolvere il conflitto tra moglie e marito

Se tra moglie e marito sorge un conflitto che provoca una crisi matrimoniale, affrontare un percorso di mediazione familiare può diventare un valido aiuto per evitare lo spettro della separazione e del divorzio.

 

Come funziona la mediazione familiare

La mediazione familiare è un percorso che i due coniugi intraprendono insieme per riorganizzare gli equilibri della famiglia. È quel cammino che li porta a scegliere di comune accordo come determinare il loro presente e futuro.

Naturalmente, non sono soli ma vengono guidati e consigliati da una figura qualificata, il mediatore, il cui compito consiste proprio nell’aiutare marito e moglie a prendere decisioni che soddisfino le esigenze di entrambi.  Il mediatore supporta la coppia e la aiuta a spianare la strada verso un accordo che, se tutto va bene, potrà far riconciliare marito e moglie.

Nel caso in cui la riconciliazione fosse impossibile, invece, il percorso effettuato al fianco del mediatore permetterà alla coppia, con l’ausilio di un avvocato familiarista, di procedere con una risoluzione consensuale del legame matrimoniale, ossia con un percorso meno difficile sia psicologicamente che a livello giuridico.

Quale ruolo ha l’Avvocato familiarista dopo la mediazione

Quando marito e moglie decidono di separarsi o di divorziare significa che il mediatore ha fallito nell’intento di farli riconciliare ma può aiutarli a trovare un punto d’incontro che è fondamentale anche da un punto di vista economico: un procedimento consensuale, infatti, risulterà essere più rapido e meno snervante ma anche decisamente più economico per la coppia.

In questa fase affidarsi ad un Avvocato familiarista è essenziale per essere sicuri che tutti gli aspetti giuridici vengano affrontati in modo professionale e che sia garantita una tutela dei diritti, anche economici, della famiglia.

 

La paura di chi si accinge ad affrontare una separazione o un divorzio è, spesso, quella di trovarsi nelle mani di una persona non specializzata in diritto di famiglia che, alla fine, chieda una parcella esorbitante senza offrire le necessarie tutele.

Chi pensa che tutti si possano occupare di procedimenti di famiglia, infatti, fa un grossolano errore. Avere a che fare con la crisi di un nucleo familiare è un incarico decisamente delicato, che può influenzare la vita dei coniugi, e degli eventuali figli, per sempre.

È importante che tra l’avvocato e il coniuge si crei un rapporto d’intesa, di collaborazione e soprattutto di fiducia: chi è coinvolto in un procedimento di separazione o divorzio non sempre è obiettivo sulla realtà dei fatti; ecco perché la fiducia è essenziale fin dal primo istante soprattutto se si vuole cercare di raggiungere un accordo, scopo che dovrebbe essere primario per tutti.

Al fine di trattare in modo organico una simile posizione l’Avvocato potrà farsi coadiuvare da altre figure professionali come psicologi e psicoterapeuti, anche infantili, o psichiatri che possono lavorare al fianco del legale per mitigare gli asti o per aiutare i figli a superare il momento in modo meno traumatico.

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Assegnazione della casa familiare in caso di marito e moglie separati o divorziati senza figli

L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento che difficilmente viene emesso dal Tribunale in caso di marito e moglie separati o divorziati senza figli. Se non c’è accordo tra i coniugi, infatti, il Giudice tende a evitare che il godimento dell’immobile venga concesso ad un soggetto che non ne sia il proprietario.

L’assegnazione della casa familiare in mancanza di figli

Quando sono presenti dei figli la casa familiare viene normalmente assegnata al coniuge presso il quale sono collocati, cioè il genitore con cui i figli vivono per la maggior parte del tempo. Questa regola “non scritta” è dettata dall’esigenza di garantire ai figli la possibilità di continuare a vivere nell’ambiente domestico in cui hanno vissuto fino al momento della separazione.

Quando si discute la separazione o il divorzio di una coppia senza figli, invece, l’assegnazione della casa familiare non è un processo automatico. Si tratta di un tema ampiamente dibattuto tra le aule di Tribunale e rispetto al quale la storia di ogni coppia andrebbe analizzata singolarmente.

In linea generale, se la coppia riesce a raggiungere un accordo di separazione o divorzio consensuale, l’assegnazione della casa familiare può essere inserita tra le condizioni indipendentemente da chi sia il vero proprietario. Marito e moglie possono, quindi, arrivare a definire le modalità di spartizione dei beni comuni, casa compresa, ma anche stabilire che uno dei due ci possa vivere anche se l’immobile non è di sua proprietà.

Cosa succede alla casa familiare in mancanza di accordo

Se marito e moglie non sono d’accordo sarà il Giudice a esprimersi sulla sorte dell’abitazione. Se l’immobile è di proprietà di uno solo dei due coniugi, questo verrà con molte probabilità lasciato al suo legittimo proprietario. Nemmeno in caso di addebito di separazione vi sono grosse possibilità da parte dell’altro coniuge di ottenere l’assegnazione della casa.

Se invece marito e moglie hanno acquistato l’abitazione in comunione dei beni, la soluzione più frequente che viene adottata, e incoraggiata dai Giudici, è quella di mettere in vendita l’immobile e suddividere il ricavato.

Tuttavia in caso di coniugi comproprietari potrebbe anche accadere che l’abitazione venga assegnata al coniuge che, per effetto della separazione, risulti economicamente più debole. Si tratta di un’ipotesi percorribile solo in presenza di una sensibile disparità economica, che potrebbe essere in parte riequilibrata mediante l’assegnazione dell’immobile.

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Come diventare marito e moglie secondo la legge italiana | Matrimonio civile o concordatario

Diventare marito e moglie secondo la legge italiana è possibile con la celebrazione del rito civile o concordatario.

Generalmente l’elemento che determina i cambiamenti più evidenti tra le varie tipologie di celebrazione è la religione che impone cerimonie diverse tra loro. Indipendentemente dal tipo di rito, comunque, sono previste specifiche modalità per conferire validità legale al matrimonio.

Il matrimonio civile

Partiamo innanzi tutto con il matrimonio civile, che è un matrimonio laico e produce immediatamente effetti legali, primi tra tutti i diritti e doveri stabiliti dal codice civile. Per potersi sposare con rito civile sono necessari alcuni requisiti: i due sposi devono ad esempio essere maggiorenni, non essere stati interdetti e non avere tra loro rapporti di parentela, affinità o adozione.

Il matrimonio canonico e quello concordatario: la trascrizione

 

Il matrimonio così come descritto dalla Chiesa Cattolica, invece, è un rito esclusivamente religioso e, in sé e per sé, non produce invece effetti civili essendo regolato esclusivamente dal diritto ecclesiastico. Per far sì che il matrimonio produca effetti legali è necessario che questo venga trascritto nei registri dello Stato civile, dopo di che si definisce matrimonio concordatario.

Se gli sposini vogliono diventare marito e moglie anche agli occhi della legge, devono far trascrivere il matrimonio presentando, per mano del sacerdote celebrante al comune nel quale si sono sposati, opportuna richiesta entro 5 giorni dalla cerimonia.

La trascrizione può anche essere fatta successivamente (trascrizione tardiva), su richiesta di entrambi i coniugi o anche di uno solo di essi, a patto che l’altro ne sia a conoscenza e non si opponga alla richiesta. Questo significa che non è possibile la trascrizione dopo l’eventuale morte della moglie o del marito.

Il matrimonio nelle altre confessioni religiose

 

È importante sottolineare che il matrimonio celebrato da un ministro di un culto acattolico è a tutti gli effetti un matrimonio civile e non rappresenta un ulteriore tipo di matrimonio: il ministro del culto in questione agisce, infatti, come delegato dall’autorità dello Stato. Quindi se il matrimonio viene celebrato da soggetto opportunamente delegato non prevede il passaggio della trascrizione, come invece avviene per il matrimonio cattolico.

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Come applicare la legge straniera alla separazione ed al divorzio in Italia anche se marito e moglie non sono d’accordo

Per marito e moglie che affrontano una separazione o un divorzio è possibile applicare la legge straniera anche se non sono d’accordo su quale normativa nazionale scegliere.

Prendiamo il caso di due coniugi, lui originario della Svizzera, lei italiana. Questi decidono, dopo il matrimonio, di trasferirsi nel paese di lui: migliori opportunità lavorative, salari più elevati, avvicinarsi alla famiglia del coniuge… sono solo alcuni motivi che li spingono a lasciare l’Italia.

Il legame, però, non si rivela duraturo e la moglie decide di lasciare il marito per tornare in Italia, vicino ad amici ed affetti.

In una simile situazione, e senza l’accordo con il marito, potrebbe essere molto complesso per la moglie avviare un processo di divorzio in Svizzera. I costi alti e le difficoltà linguistiche renderebbero difficile la gestione del procedimento, senza contare che l’avvio delle procedure sul territorio estero le richiederebbero inevitabilmente spostamenti periodici.

La moglie, quindi, perderebbe la possibilità di ottenere il divorzio senza dover prima passare dalla separazione, come ammesso dalla legge elvetica.

Il regolamento 1256/10, entrato in vigore da qualche anno in Unione Europea, però, permette di ottenere una via d’uscita facilitata in questi casi.

L’applicazione del regolamento 1259/2010 in caso di mancata scelta

In mancanza di un accordo tra i coniugi sulla separazione o sul divorzio, chi agisce per primo può scegliere sia dove iniziare la causa sia la legge applicabile.

Il regolamento prevede la possibilità di applicare la legge dello Stato in cui i due moglie e marito risiedono abitualmente o quella del Paese che è stato la loro ultima residenza comune, purché uno dei due vi risieda ancora.

Vi è anche una terza opzione che concede la possibilità di applicare la legge dello Stato di cittadinanza di marito e moglie. Se nessuna di queste tre opzioni può essere adottata, dovrà essere applicata la legge dello Stato dove si svolge il giudizio.

La moglie, quindi, potrà iniziare una causa in Italia applicando la legge Svizzera ottenendo subito il divorzio come previsto il quello Stato, che è quello dell’ultima residenza comune dei coniugi dato che il marito vi risiede ancora.

Attenzione però perché per poter scegliere la legge del Paese dell’ultima residenza abituale, non deve essere trascorso più di un anno da quando i due coniugi vi risiedevano insieme e l’inizio della causa.

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