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Coppie di fatto e convivenze non registrate: nessuna eredità “per legge”

Tra le coppie di fatto che vivono in convivenze non registrate non alcun diritto all’eredità dell’altro “per legge” cioè in automatico come tra moglie e marito. Questo significa che se uno dei conviventi muore senza lasciare testamento, l’altra persona non potrà ereditare nulla.

Neppure la Legge Cirinnà, che ha introdotto la regolamentazione delle unioni civili per coppie omosessuali, ha disciplinato una garanzia in tal senso per le coppie di fatto dato che ben differenzia i diritti delle coppie che possono accedere alle unioni civili, esclusivamente omosessuali, da quelli per le coppie di fatto siano esse eterosessuali e non.

Quando e come i conviventi possono diventare eredi

 

Come accennato alle coppie di fatto, ossia quelle coppie formate da due persone che coabitano unite da un legame affettivo, non è riconosciuto alcun diritto in ambito successorio, pertanto, alla morte del partner al superstite non spetta nessun diritto in mancanza di un testamento.

Questo non significa che chi rimane in vita non possa in assoluto diventare erede del compagno o della compagna: se questi decide di fare testamento, infatti, può scegliere di destinare qualsiasi bene all’altro,ma tale disposizione sarà valida solo nel rispetto dei limiti di quota riservati ad eventuali legittimari(coniugi, figli o ascendenti).

Esistono, infatti, dei diritti successori inviolabili destinati ai parenti più stretti i quali devono ricevere in eredità almeno una quota di patrimonio prefissata dalla legge e, in caso contrario, possono rivolgersi al Giudice per ottenere la restituzione del bene finito in eredità a qualcun altro oppure dell’equivalente in denaro per risanare la propria quota di legittima (c.d. azione di reintegra).

Pensiamo, ad esempio, ad un convivente che muore lasciando in vita la partner e la madre. Quest’ultima in qualità di ascendente della persona deceduta ha diritto ad avere almeno 1/3 del patrimonio del figlio. Se lui muore lasciando in eredità alla compagna una grossa somma di denaro oltre che l’unica casa di proprietà, la madre potrebbe opporsi a questo lascito testamentario se l’importo in denaro destinato alla compagna sommato alla casa avessero un valore superiore ai 2/3 del patrimonio del defunto. In questo caso gli eredi dovrebbero far valutare l’immobile e la compagna dovrebbe, eventualmente, liquidare la madre o con una parte del denaro ereditato o con una quota della casa e ciò fino alla concorrenza del controvalore di 1/3 del patrimonio del defunto.

Rilevanze giuridiche della morte del compagno

Per la legge le disposizioni testamentarie tra i conviventi del genere sono definite “liberalità tra estranei” e non godono neppure dei benefici fiscali dei lasciti destinati al coniuge dato che sarebbe sottoposta all’aliquota dell’8% a titolo di imposta di successione.

Gli unici diritti previsti attualmente dall’Ordinamento italiano dopo la Legge Cirinnà in caso di morte di un convivente sono: l’opportunità di rimanere nella casa abitata dalla coppia, di proprietà del defunto, per un tempo massimo di 5 anni dal decesso, la facoltà di succedere nel contratto di locazione intestato al compagno e la possibilità di ricevere il risarcimento del danno in caso di morte del compagno per fatto illecito.

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Cosa succede alla donazione al coniuge o al partner unito civilmente in caso di successione

In una coppia di partner, conviventi o coniugi è molto frequente fare o ricevere regali. Ma se i trasferimenti riguardano beni di valore elevato si realizza una donazione, una figura giuridica che è regolamentata in modo specifico dalla legge e soprattutto in caso di successione per morte del partner/del convivente/ della moglie/ del marito.

Pensiamo, ad esempio, alla cessione gratuita un immobile da un partner all’altro: talvolta queste decisioni possono avere motivi fiscali; possono sembrare vie d’uscita per sfuggire ai creditori in caso di grossi debiti (intesto la casa a mia moglie così i miei creditori non la possono pignorare) oppure potrebbero essere un modo per togliere dalla futura eredità beni di valore.

Attenzione alla collazione ereditaria

Nell’ultimo caso, ossia quando il partner, il convivente, la moglie o il marito che ha donato il bene muore, potrebbero sorgere alcuni problemi durante la divisione dell’eredità e, più in generale, per la successione. Solo le donazioni di modico valore fatte tra i coniugi o tra due persone unite civilmente, infatti, sono al “sicuro” e non entrano nell’eredità.

In tutti gli altri casi il bene che è stato donato in vita deve essere oggetto della cosiddetta collazione che consiste nel conferimento a tutti i coeredi del bene donato. In pratica chi ha ricevuto la donazione deve “mettere a disposizione” il bene in modo tale che questo rientri nella massa patrimoniale del defunto, così da poter da procedere alla corretta divisione tra tutti gli eredi.

 

La donazione di un determinato bene, infatti, potrebbe aver notevolmente impoverito il patrimonio del caro estinto. Ciò provocherebbe una lesione al diritto degli altri eredi che, in poche parole, dovrebbero dividersi un capitale inferiore. La “restituzione” della donazione permetterebbe di valutare il patrimonio oggetto dell’eredità in modo globale per capire se le quote di ciascun erede sono state rispettate.

L’unico caso in cui si è esonerati da tale obbligo è quando il defunto ha appositamente dispensato il congiunto, rispettando però alcuni limiti.

La legittima e i limiti della dispensa alla collazione

Come noto in Italia, anche se chi muore lascia testamento, esistono delle quote intoccabili (cd. legittime) per alcuni eredi quali il coniuge, i genitori e i figli. Se queste quote calcolate sull’intero patrimonio del defunto non vengono rispettate, l’erede leso nel suo diritto di legittima può e deve ottenere la reintegra della quota.

La parte restante dei beni viene chiamata quota disponibile perché può essere destinata a chiunque da parte di chi fa il testamento.

La dispensa a compiere la collazione dei beni donati è possibile solo entro i limiti della quota disponibile dell’eredità.

Facciamo un esempio per comprendere meglio. La quota di legittima per i genitori in caso di morte di un figlio che non abbia avuto figli ma si sia sposato o unito civilmente è pari ad un quarto del patrimonio del defunto. Quindi se dopo il matrimonio o l’unione civile fosse stata donata una casa al coniuge o al partner unito civilmente questi dovrebbe mettere la casa in collazione a meno che un quarto del patrimonio totale del defunto (al netto dell’appartamento donato) rimanga disponibile per l’eredità dei genitori.

Capiamo molto bene che, come accade spesso, nel caso in cui la casa costituisse gran parte del patrimonio del defunto potrebbero sorgere grossi problemi per il coniuge o il partner superstite. Egli, infatti, sarebbe costretto a cointestare parte della casa agli altri eredi (nel nostro esempio ai genitori del defunto) oppure a dare loro il corrispettivo valore in denaro.

Con l’approvazione della legge sulle Unioni Civili, i diritti di due persone unite civilmente sono stati parificati a quelli di due coniugi anche per quanto riguarda il campo delle donazioni, quindi, come abbiamo visto, è necessario porre la massima attenzione quando si decide di operare trasferimenti a titolo gratuito per non correre il rischio che questi vengano formalmente invalidati dalla collazione.

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Unione civile coppia gay o lesbica: diritti se il partner muore senza fare testamento

Quando il partner in una coppia gay o lesbica muore senza lasciare testamento chi sopravvive può far valere i suoi diritti se era stata celebrata un’unione civile. Fare testamento prima della Legge Cirinnà era di importanza vitale per tutte le coppie di fatto in quanto era l’unico modo legale per assicurarsi che una parte dei propri beni potesse arrivare al partner dopo la morte (nel rispetto delle quote da riservare agli eredi legittimi).

I casi in cui, dopo anni di relazione, conviventi gay o lesbiche si sono trovati sbattuti fuori di casa da “eredi legittimi” del defunto sono migliaia e, purtroppo, tutti di difficilissima – se non impossibile – soluzione giudiziaria. Le coppie omosessuali spesso vivono rapporti di conflittualità con le famiglie d’origine che arrivano addirittura ad ignorare l’esistenza di legami d’amore del proprio congiunto e, al momento della sua scomparsa, approfittano della legge per impedire al partner superstite di attingere all’eredità.

Molte persone, infatti, non pensano a mettere nero su bianco le proprie ultime volontà: chi per scaramanzia, chi per distrazione, chi perché non ne vede l’utilità, chi per paura di deludere familiari o amici o di commettere errori… Grazie alla celebrazione dell’unione civile, però, le coppie omosessuali possono vantare diritti ereditari pari a quelli di moglie e marito.

L’unione civile fa diventare eredi legittimi

 

La celebrazione dell’unione rende le due persone eredi legittimi perché, in materia di successioni, parifica in tutto e per tutto tale patto al matrimonio. Ciò significa che nel caso in cui una parte dell’unione dovesse morire senza lasciare un testamento il partner sarebbe l’erede universale, cioè l’unico ad aver diritto ad ereditare tutto il patrimonio della persona scomparsa.

Quanto spetta al partner se sono presenti altri familiari

L’intero patrimonio è devoluto alla parte unita civilmente al defunto se quest’ultimo non aveva alcun parente prossimo. Nel caso in cui chi muore lascia una famiglia più numerosa le cose cambiano in quanto viene previsto il diritto ad essere eredi anche per gli altri familiari.

In particolare: se la persona scomparsa aveva un figlio, il patrimonio dovrà essere ereditato a metà tra quest’ultimo ed il partner superstite; se aveva più figli un terzo dei beni spetterà al compagno o compagna ed i due terzi verranno destinati ai figli; se, invece, chi muore lascia unicamente i genitori questi erediteranno un terzo degli averi ed i due terzi sarà destinato alla parte unita civilmente.

Come si procede alla divisione del patrimonio in caso di più eredi legittimi

La prima cosa da fare è elencare tutti i beni del defunto così come i debiti o le passività da lui lasciate. In questa fase bisogna considerare anche i beni che chi è scomparso aveva donato in vita, che vanno a far parte della quota destinata all’erede, sempre che non si trattasse di donazioni di modesto valore.

Dopo aver stimato ogni bene e considerato le somme di denaro, si procede dando la parte spettante a ciascun erede in base alle quote previste dalla Legge. Gli eredi possono anche accordarsi durante la divisione per ottenere un bene invece di un altro ove ciò non sia possibile, si procederà con un conguaglio in denaro.

Per quanto riguarda i beni che non si possono dividere, come le case, tutti gli eredi diventeranno proprietari ciascuno per la propria quota oppure si procede alla vendita del bene ed alla successiva suddivisione del ricavato.

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Uno strumento poco conosciuto: l’Assegno successorio, cos’è e a chi spetta

Quando l’ex coniuge muore, il coniuge divorziato perde il diritto all’assegno divorzile che fino a quel momento percepiva. E non solo: il divorzio, cancellando lo status coniugale, cancella anche tutti i diritti successori. Non importa quanto a lungo sia durata la relazione, l’ex non rientra più tra gli eredi legittimi.

Oltre al dolore per la perdita di una persona che comunque ha avuto un ruolo significativo nella propria vita, il coniuge divorziato potrebbe ritrovarsi nella condizione di non riuscire più a far fronte alle normali spese quotidiane. Quando si perde l’assegno divorzile, magari rimasto l’unica fonte di reddito, i costi della casa, le spese mediche e persino quelle alimentari potrebbero seriamente diventare difficili da pagare.

In casi come questi, la legge prevede che al coniuge divorziato possa però essere riconosciuto un assegno successorio. Si tratta di un assegno a carico dell’eredità che quindi viene versato all’ex coniuge dagli eredi. E’ però necessario che l’ex coniuge si trovi in stato di bisogno: deve cioè trovarsi in condizioni economiche tali da non poter far fronte alle esigenze primarie ed essenziali di vita.

Richiesta e quantificazione

Per ottenere l’assegno successorio, il coniuge divorziato dovrà rivolgersi al Tribunale e farne richiesta. Il Giudice, dopo aver verificato il caso concreto, calcolerà la somma tenendo in considerazione diversi fattori, tra i quali, l’entità dell’eredità, il numero degli eredi e le loro condizioni economiche.

Difficilmente gli eredi potranno opporsi. Nemmeno se si tratta della nuova famiglia formatasi dopo il divorzio come nel caso di coniuge sposato in seconde nozze o di figli di “secondo letto”.

È importante però sottolineare che se nel tempo cambiano le condizioni economiche – tanto dell’ex coniuge divorziato, quanto degli eredi – potrà variare anche l’ammontare dell’assegno. Allo stesso modo, il diritto all’assegno successorio potrebbe venire meno se l’ex coniuge divorziato si risposasse o se cessasse il suo stato di bisogno, condizione fondamentale per poterlo ottenere.

Il divorziato che si trovi nella condizione di veder mancare improvvisamente l’ex coniuge, e con lui l’assegno di mantenimento, ha quindi a disposizione molteplici strumenti per poter fra fronte autonomamente ai proprio bisogni economici, o quantomeno a quelli di primaria necessità.

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