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Unione civile, facciamo il punto dopo un anno dall’approvazione Legge Cirinnà

Dopo un anno dall’approvazione della Legge Cirinnà sulla regolamentazione dell’unione civile tra partner omosessuali, avvenuta alla Camera dei Deputati con 369 voti a favore, 193 contrarie e 2, vediamo a che punto è l’Italia in relazione a tale tematica.

Sebbene sia stato necessario attendere l’emanazione di alcuni decreti attuativi utili all’aggiornamento dei Registri Civili dei Comuni e ad altre formalità burocratiche, da alcuni mesi a questa parte la legge ha trovato piena attuazione.

Nord e sud, la doppia velocità delle unioni civili omosessuali

 

Anche per quanto riguarda l’ufficializzazione dei legami tra persone dello stesso sesso il nostro paese si sta dimostrando diviso in due, con il nord che ha ampiamente superato le regioni meridionali per quanto rigurda il numero di unioni civili celebrate.

Da un’indagine di Infodata, aggiornata al 31 Gennaio 2017, in Italia risultanto essere state registrate o, comunque, già prenotate 1690 unioni civili delle quali 495 nella sola città di Milano e 430 nella Capitale. Oltre il 50% del totale delle celebrazioni, quindi, è avvenuto (o avverrà a breve) nelle due pricipali metropoli, con una notevole differenza rispetto ad che hanno distaccato nettamente altri grandi centri urbani come Torino (202), Bologna (101), Napoli (87) e Firenze (83).

Il raffronto della statistica diviene ancora più marcato se svolto rispetto ai capoluoghi di provincia  del sud dove passiamo dalle pochissime 16 unioni di Bari, alla singola celebrazione di Potenza per arrivare a barrare la casella numero zero sia a Campobasso che a Catanzaro.

Tempi di attesa da Comune a Comune e “contributi” economici: alcuni Comuni fanno cassa

 

Celebrare un’unione civile si presenta apparentemente facilissimo: la maggioranza dei Comuni ha adibito un ufficio ad hoc oppure una linea telefonica diretta o una apposita sezione sul proprio sito internet. Rivolgendosi direttamente ai funzionari incaricati è poi possibile ricevere tutte le informazioni utili alla celebrazione (documenti da presentare, imposte di bollo, tempistiche per le pubblicazioni ecc.).

Se quindi a livello teorico tutto sembra facile, tuttavia sul lato pratico molte coppie stanno verificando la presenza di un vero e proprio “intoppo” dato che molti Comuni presentano lunghe liste d’attesa che rendono assai problematico l’accesso alla cerimonia per la quale, talvolta, si è costretti ad attendere svariati mesi.

Se pensassimo di poter evitare queste lungaggini cercando un altro Comune diverso da quello di residenza le difficoltà potrebbero diventare di altra natura. E’ infatti successo che alcuni Municipi, pur garantendo le celebrazioni in tempi più rapidi, richiedano costi più elevati. In tale contesto, appare quindi necessario che le Amministrazioni comunali che hanno accumulato lunghi tempi d’attesa continuino ad adoperarsi per arrivare, si auspica in tempi brevi, ad una normalizzazione.

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Casa familiare venduta dopo l’assegnazione: conseguenze

Ottenere l’assegnazione della casa familiare può essere un traguardo importante in sede di separazione, divorzio o al termine di una convivenza. Se la casa viene venduta dopo il provvedimento, però, l’assegnatario potrebbe temere delle conseguenze.

Prendiamo il caso in cui, in sede di separazione, un Giudice assegna la casa familiare, di proprietà del marito, alla moglie che ci vivrà con il figlio minore. Il marito, all’insaputa della moglie, vuoi per ripicca, vuoi per reali bisogni economici, mette in vendita l’appartamento e, pochi mesi dopo, lo vende.

Davanti ad una simile rivelazione, soprattutto per i non addetti ai lavori, è facile entrare in allarme. La moglie potrebbe temere il peggio per il suo futuro più immediato. Si potrebbe far prendere dal panico all’idea che, da un giorno all’altro, possa essere costretta a cambiare abitazione con il bambino.

Possibile restare a vivere nella casa familiare anche se venduta a terzi

 

In questi casi è necessario informarsi ed essere lucidi. L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento che deve essere rispettato dall’eventuale acquirente dell’abitazione. Si parla in questi casi di opponibilità al terzo proprietario, ossia alla persona che ha comprato la casa.

 

La vendita sarà opponibile all’acquirente per nove anni dalla data di assegnazione, ed anche oltre in caso di trascrizione del provvedimento di assegnazione presso i pubblici registri.

Questo significa che l’assegnatario potrà continuare ad abitare nell’immobile familiare anche se ne è cambiato il proprietario.

Ovviamente è sempre consigliabile rendere il prima possibile pubblica l’assegnazione, procedendo alla trascrizione del provvedimento nei registri della conservatoria dato che, in questo caso, il diritto sarebbe opponibile a tempo indeterminato e non per “soli” nove anni. In questo modo renderemmo più difficile ogni “speculazione” sulla casa a noi assegnata e ci metteremmo al sicuro da tentativi di espropriazione.

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Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze

Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.

Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa

 

Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.

In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.

Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.

Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento

 

Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.

Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.

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