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Quali diritti nascono sulla casa familiare per le coppie lesbiche in caso di unione civile

L’unione civile fa sorgere importati diritti in relazione alla casa familiare per le coppie lesbiche. Prendiamo l’esempio di due compagne che, a seguito delle incomprensioni e dei continui litigi con le rispettive famiglie d’origine, si trasferiscono a vivere in una nuova città dove una delle due è proprietaria di una casa regalatale dai genitori ai tempi dell’università. Dopo qualche tempo le due partners decidono di celebrare il loro amore registrando l’unione civile. In questo modo i diritti di entrambe sono tutelati dalla Legge Cirinnà anche dinanzi alle ostilità delle famiglie o alle fatalità della vita.

La partner superstite può restare a vivere nella casa familiare

Prima che venissero regolamentate le unioni civili, se la proprietaria dell’abitazione avesse perso la vita, e non avesse lasciato un testamento, la famiglia d’origine avrebbe facilmente potuto estromettere la compagna dalla propria abitazione, occupata senza titolo. Ed infatti la casa sarebbe rientrata nell’eredità e – in assenza di un testamento – sarebbe quindi spettata agli eredi.

Immaginiamo quanto sarebbe potuto essere traumatico per lei rischiare di essere buttata fuori dalla casa in cui aveva vissuto con la propria compagna dopo averla persa.

Oggi la legge sulle unioni civili impedisce questa azione alla famiglia d’origine. La celebrazione dell’unione, infatti, oltre a garantire diritti successori alla parte superstite, le concede di restare a vivere per tutta la vita nella casa che la coppia aveva scelto come abitazione principale, indipendentemente dalla proprietà dell’immobile.

Questo significa, che anche se la proprietà dell’appartamento dovesse essere trasferita ad un membro della famiglia d’origine della compagna deceduta, alla superstite rimarrebbe in ogni caso il diritto di continuare a vivere nella stessa casa salvo il caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, unione civile o di nuova convivenza di fatto.

Casa in affitto e agevolazioni fiscali

Nel caso in cui l’abitazione principale della coppia fosse in locazione, con il contratto di affitto intestato alla persona deceduta, la Legge prevede comunque una tutela nei confronti della parte superstite che avrà diritto a succedere all’altra nel contratto d’affitto.

Grazie agli accorgimenti che abbiamo visto l’abitazione principale della coppia rimane tale anche dinanzi ad un evento negativo come la scomparsa di una parte.

Ma la possibilità di individuare un immobile come residenza principale della famiglia non è rilevante solo in caso di eventi tragici dato che il Legislatore ha equiparato la coppia unita civilmente alla coppia sposata anche per quanto riguarda la regolamentazione di IMU e TASI, prevendendo le agevolazioni “prima casa” per entrambi i residenti.

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Casa familiare venduta dopo l’assegnazione: conseguenze

Ottenere l’assegnazione della casa familiare può essere un traguardo importante in sede di separazione, divorzio o al termine di una convivenza. Se la casa viene venduta dopo il provvedimento, però, l’assegnatario potrebbe temere delle conseguenze.

Prendiamo il caso in cui, in sede di separazione, un Giudice assegna la casa familiare, di proprietà del marito, alla moglie che ci vivrà con il figlio minore. Il marito, all’insaputa della moglie, vuoi per ripicca, vuoi per reali bisogni economici, mette in vendita l’appartamento e, pochi mesi dopo, lo vende.

Davanti ad una simile rivelazione, soprattutto per i non addetti ai lavori, è facile entrare in allarme. La moglie potrebbe temere il peggio per il suo futuro più immediato. Si potrebbe far prendere dal panico all’idea che, da un giorno all’altro, possa essere costretta a cambiare abitazione con il bambino.

Possibile restare a vivere nella casa familiare anche se venduta a terzi

 

In questi casi è necessario informarsi ed essere lucidi. L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento che deve essere rispettato dall’eventuale acquirente dell’abitazione. Si parla in questi casi di opponibilità al terzo proprietario, ossia alla persona che ha comprato la casa.

 

La vendita sarà opponibile all’acquirente per nove anni dalla data di assegnazione, ed anche oltre in caso di trascrizione del provvedimento di assegnazione presso i pubblici registri.

Questo significa che l’assegnatario potrà continuare ad abitare nell’immobile familiare anche se ne è cambiato il proprietario.

Ovviamente è sempre consigliabile rendere il prima possibile pubblica l’assegnazione, procedendo alla trascrizione del provvedimento nei registri della conservatoria dato che, in questo caso, il diritto sarebbe opponibile a tempo indeterminato e non per “soli” nove anni. In questo modo renderemmo più difficile ogni “speculazione” sulla casa a noi assegnata e ci metteremmo al sicuro da tentativi di espropriazione.

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Assegnazione casa familiare: disposta anche se i genitori non sono sposati | Convivenza e coppie di fatto

Tutti i figli godono degli stessi diritti, che derivano loro dallo status di figlio e non dal fatto di essere nati durante il matrimonio dei genitori. Ciò ha dirette implicazioni per le coppie di conviventi. In caso di cessazione della convivenza, infatti, se si è in presenza di figli, i genitori devono rispettare le regole previste  per le coppie sposate, che si separano, in materia di affidamento e mantenimento dei figli e assegnazione della casa familiare. Lo scopo è quello di tutelare i figli e i loro interessi.

La casa familiare dopo la rottura della convivenza

Il concetto di assegnazione della casa familiare veniva solitamente associato a una procedura di separazione. Oggi è ormai assodata la possibilità di procedere con la decisione sulla casa anche di fronte alla fine di una convivenza more uxorio. La casa familiare, come luogo di protezione naturale del bambino, infatti, è strettamente legata ai suoi bisogni ed alle sue esigenze. Per questo motivo le decisioni che la coinvolgono sono influenzate dalla presenza di un figlio. Del resto se due conviventi diventano genitori contraggono gli stessi e identici obblighi nei confronti dei figli rispetto a due genitori sposati. Il principio di responsabilità genitoriale, infatti, deriva dalla maternità e dalla paternità, non dal matrimonio.

Di fronte alla nascita di un bambino, quindi, i genitori conviventi hanno il dovere di far fronte a tutte le sue esigenze, anche nel momento in cui la convivenza dovesse interrompersi. Come durante una separazione, infatti, la fine di una convivenza può rappresentare per il figlio un momento particolarmente difficile. Il bambino potrebbe faticare, soprattutto nei primi tempi, ad accettare il distacco da uno dei due genitori. Si tratta di una fase molto delicata, soprattutto se il figlio coinvolto è molto piccolo: l’iniziale spaesamento per la mancanza di uno dei suoi punti di riferimento potrebbe provocargli stress, sofferenza e, in generale, una sensazione di disagio. Naturalmente, la situazione si complica se questa fase di distacco è accompagnata da un clima di accesa conflittualità, determinato da contese tra i genitori.

Per queste ragioni a tutela del minore si cerca di limitare, per quanto possibile, ogni ulteriore significativo cambiamento che potrebbe turbarlo, primo tra tutti l’improvviso cambio di casa.

Nella grande maggioranza dei casi, quando due genitori ex conviventi si trovano dinanzi al Tribunale per la definizione dell’affidamento e del mantenimento dei figli, il Giudice assegna la casa familiare al genitore prevalentemente convivente con loro, proprio per i motivi che abbiamo accennato. Ciò vale indipendentemente dalla proprietà dell’immobile: l’assegnazione viene effettuata senza badare al fatto che essa appartenga ad uno solo dei genitori o sia in comproprietà. In sostanza l’eventuale proprietario non assegnatario resterà proprietario dell’immobile ma dovrà andare a vivere da un’altra parte.

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Assegnazione della casa familiare in caso di marito e moglie separati o divorziati senza figli

L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento che difficilmente viene emesso dal Tribunale in caso di marito e moglie separati o divorziati senza figli. Se non c’è accordo tra i coniugi, infatti, il Giudice tende a evitare che il godimento dell’immobile venga concesso ad un soggetto che non ne sia il proprietario.

L’assegnazione della casa familiare in mancanza di figli

Quando sono presenti dei figli la casa familiare viene normalmente assegnata al coniuge presso il quale sono collocati, cioè il genitore con cui i figli vivono per la maggior parte del tempo. Questa regola “non scritta” è dettata dall’esigenza di garantire ai figli la possibilità di continuare a vivere nell’ambiente domestico in cui hanno vissuto fino al momento della separazione.

Quando si discute la separazione o il divorzio di una coppia senza figli, invece, l’assegnazione della casa familiare non è un processo automatico. Si tratta di un tema ampiamente dibattuto tra le aule di Tribunale e rispetto al quale la storia di ogni coppia andrebbe analizzata singolarmente.

In linea generale, se la coppia riesce a raggiungere un accordo di separazione o divorzio consensuale, l’assegnazione della casa familiare può essere inserita tra le condizioni indipendentemente da chi sia il vero proprietario. Marito e moglie possono, quindi, arrivare a definire le modalità di spartizione dei beni comuni, casa compresa, ma anche stabilire che uno dei due ci possa vivere anche se l’immobile non è di sua proprietà.

Cosa succede alla casa familiare in mancanza di accordo

Se marito e moglie non sono d’accordo sarà il Giudice a esprimersi sulla sorte dell’abitazione. Se l’immobile è di proprietà di uno solo dei due coniugi, questo verrà con molte probabilità lasciato al suo legittimo proprietario. Nemmeno in caso di addebito di separazione vi sono grosse possibilità da parte dell’altro coniuge di ottenere l’assegnazione della casa.

Se invece marito e moglie hanno acquistato l’abitazione in comunione dei beni, la soluzione più frequente che viene adottata, e incoraggiata dai Giudici, è quella di mettere in vendita l’immobile e suddividere il ricavato.

Tuttavia in caso di coniugi comproprietari potrebbe anche accadere che l’abitazione venga assegnata al coniuge che, per effetto della separazione, risulti economicamente più debole. Si tratta di un’ipotesi percorribile solo in presenza di una sensibile disparità economica, che potrebbe essere in parte riequilibrata mediante l’assegnazione dell’immobile.

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Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze

Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.

Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa

 

Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.

In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.

Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.

Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento

 

Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.

Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.

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