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Quando i debiti di moglie e marito possono essere pagati con i beni in comunione

Se moglie e marito hanno dei debiti possono dover utilizzare i beni in comunione per soddisfarli. Quando uno dei coniugi contrae debiti che devono essere, ovviamente, pagati può nascere il timore di perdere beni o denaro importanti per tutta la famiglia. La possibilità o meno per i creditori di rivalersi sui beni che fanno parte della comunione dipende da due fattori: il soggetto che ha contratto il debito e il momento in cui questo è stato contratto.

I debiti contratti congiuntamente dai coniugi

 

Se due coniugi contraggono dei debiti in maniera congiunta mentre è in vigore il regime di comunione legale, questi ultimi possono essere oggetto delle pretese dei creditori qualora la coppia non riesca a saldare il debito, quindi si potrà rischiare di subire il pignoramento di un bene o del conto corrente. Se il valore dei beni della comunione non è sufficiente a saldare il debito, i creditori possono rivalersi anche sui beni personali dei coniugi, in misura pari alla metà del credito.

I debiti contratti singolarmente dai coniugi prima del matrimonio

 

Se uno dei coniugi contrae un debito prima del matrimonio, a rispondere è soltanto il patrimonio personale del coniuge: i beni che rientrano nella comunione legale non possono essere toccati dai creditori. Lo stesso vale nel caso in cui i debiti siano stati acquisiti da uno dei due coniugi per donazione o successione: così come il bene ottenuto per successione o donazione non rientra fra i beni che fanno parte della comunione, allo stesso modo i creditori non possono rivalersi sui beni comuni.

 

I debiti contratti singolarmente dai coniugi durante il matrimonio

 

Opposta è la situazione nel caso in cui il debito sia contratto durante il matrimonio. In questo caso ci può essere di aiuto un esempio, perché la regola è complessa. Ipotizziamo che un marito, titolare di una ditta individuale di traslochi, contragga un debito che non riesce a ripagare, egli è sposato in comunione dei beni ed ha paura che la propria famiglia perda la casa, in comproprietà con la moglie. I creditori si dovranno rivalere innanzitutto sul patrimonio aziendale, ad esempio sul camion, sull’immobile che ospita la sede della ditta, e sul conto corrente aziendale. Successivamente dovranno rivalersi sui beni e sul conto personale del marito. Se però il valore di questi beni non sarà sufficiente a saldare il debito, i creditori potranno procedere anche con il pignoramento dei beni in comunione. Attenzione però perché i creditori potranno rivalersi soltanto sulla metà del valore dei beni, pari alla quota spettante al marito.

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Comunione dei beni: rientrano i beni acquisiti a titolo originario dalla moglie o dal marito

Moglie e marito che scelgono la comunione dei beni come regime patrimoniale devono sapere che vi rientrano tutti gli acquisti dei coniugi, o di uno di essi, anche se a titolo originario. L’unica eccezione sono i beni strettamente personali, per esempio quelli derivanti da un’eredità o da un risarcimento danni.

Entrano a far parte della comunione, però, i frutti dei beni di ciascun coniuge (anche se personali) e i proventi delle loro rispettive attività, a patto che non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione. Anche le aziende gestite da entrambi i coniugi, se costituite dopo il matrimonio, fanno parte dei beni in comune.

Il bene acquisito per usucapione rientra nella comunione

 

Anche il bene acquisito per usucapione, nel momento in cui è in vigore il regime di comunione, rientra a tutti gli effetti a far parte del patrimonio comune dei coniugi. Prendiamo il caso di un artigiano, sposato in comunione dei beni, che ha sempre svolto la propria attività in un seminterrato, utilizzato anche come cantina dall’intera famiglia.

Pur non essendo l’effettivo proprietario del locale si è sempre comportato come se lo fosse, svolgendo la dovuta manutenzione e pagando le utenze. Dopo 20 anni potrà far riconoscere il suo possesso ed essere dichiarato proprietario dell’immobile. Al termine di una causa, infatti, l’artigiano potrà essere riconosciuto proprietario per usucapione, un modo di acquisto della proprietà che si definisce “a titolo originario”.

In questo caso l’acquisto, come detto, cadrà in comunione, e, quindi, la moglie dell’artigiano diventerà legittimamente proprietaria del 50% del bene acquisito e avrà quindi diritto a gestirlo in maniera congiunta con il marito.

 

Il momento rilevante è quello in cui si completa l’acquisto del bene

 

È il momento in cui si conclude l’acquisto ad essere rilevante per decidere se il bene cadrà o meno in comunione. Per semplificare potremmo dire che anche se, durante buona parte dei vent’anni di possesso l’acquirente non era sposato, avrà valore il fatto che il ventesimo anno sia caduto durante la comunione. Allo stesso modo, se uno dei coniugi possedesse un bene durante il periodo della comunione ma ne diventasse proprietario per usucapione soltanto dopo lo scioglimento, l’altro coniuge non potrebbe avere alcuna pretesa nei confronti del bene in questione.

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