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La quota di TFR che spetta all’ex

Quando si parla di diritti economici che permangono anche dopo il divorzio, oltre alla pensione di reversibilità ed all’assegno successorio, si deve ricomprendere anche la divisione del Trattamento di fine rapporto riscosso da uno dei due ex coniugi. L’ordinamento, infatti, prevede che l’ex coniuge del lavoratore abbia diritto ad ottenere una quota del TFR pari al 40% della somma maturata durante il matrimonio. Questa suddivisione viene spesso malvista da chi riceve il TFR faticosamente accumulato dopo anni di lavoro, quasi come se l’ex coniuge volesse appropriarsene ingiustamente. In realtà lo scopo che regge questa norma è quello di far suddividere la somma tra lavoratore e coniuge divorziato per “restituire” le  somme accantonate durante il matrimonio che sarebbero servite per soddisfare le esigenze della famiglia

Condizioni per accedere al TFR 

Perché il giudice riconosca al coniuge divorziato una quota di TFR è necessario che quest’ultimo non si sia risposato e sia titolare di un assegno di mantenimento periodico. Tuttavia, c’è un’ulteriore condizione che deve essere rispettata: la domanda per la quota di TFR deve essere presentata dopo la domanda di divorzio. I separati, quindi, non godono di questo diritto.

Ciò implica che se il TFR viene percepito prima della domanda di divorzio, l’ex coniuge non potrà beneficiarne.

Anticipazioni del TFR

Allo stesso modo, le anticipazioni del TFR che vengono percepite prima della domanda di divorzio sono inaccessibili all’ex.

Accade quindi piuttosto frequentemente che dopo la sentenza di separazione il titolare del TFR chieda delle anticipazioni. Spesso si utilizzano queste operazioni per andare a ridurre l’ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto a cui il coniuge potrebbe accedere un domani, qualora decidesse di divorziare. E’ utile considerare, però, che la recente introduzione del divorzio breve, riducendo il periodo di separazione, va a diminuire i tempi utili per operare richieste di anticipi del TFR. Ciò significa che il coniuge titolare del TFR dovrà tenere conto delle nuove tempistiche per gestire queste iniziative.

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Uno strumento poco conosciuto: l’Assegno successorio, cos’è e a chi spetta

Quando l’ex coniuge muore, il coniuge divorziato perde il diritto all’assegno divorzile che fino a quel momento percepiva. E non solo: il divorzio, cancellando lo status coniugale, cancella anche tutti i diritti successori. Non importa quanto a lungo sia durata la relazione, l’ex non rientra più tra gli eredi legittimi.

Oltre al dolore per la perdita di una persona che comunque ha avuto un ruolo significativo nella propria vita, il coniuge divorziato potrebbe ritrovarsi nella condizione di non riuscire più a far fronte alle normali spese quotidiane. Quando si perde l’assegno divorzile, magari rimasto l’unica fonte di reddito, i costi della casa, le spese mediche e persino quelle alimentari potrebbero seriamente diventare difficili da pagare.

In casi come questi, la legge prevede che al coniuge divorziato possa però essere riconosciuto un assegno successorio. Si tratta di un assegno a carico dell’eredità che quindi viene versato all’ex coniuge dagli eredi. E’ però necessario che l’ex coniuge si trovi in stato di bisogno: deve cioè trovarsi in condizioni economiche tali da non poter far fronte alle esigenze primarie ed essenziali di vita.

Richiesta e quantificazione

Per ottenere l’assegno successorio, il coniuge divorziato dovrà rivolgersi al Tribunale e farne richiesta. Il Giudice, dopo aver verificato il caso concreto, calcolerà la somma tenendo in considerazione diversi fattori, tra i quali, l’entità dell’eredità, il numero degli eredi e le loro condizioni economiche.

Difficilmente gli eredi potranno opporsi. Nemmeno se si tratta della nuova famiglia formatasi dopo il divorzio come nel caso di coniuge sposato in seconde nozze o di figli di “secondo letto”.

È importante però sottolineare che se nel tempo cambiano le condizioni economiche – tanto dell’ex coniuge divorziato, quanto degli eredi – potrà variare anche l’ammontare dell’assegno. Allo stesso modo, il diritto all’assegno successorio potrebbe venire meno se l’ex coniuge divorziato si risposasse o se cessasse il suo stato di bisogno, condizione fondamentale per poterlo ottenere.

Il divorziato che si trovi nella condizione di veder mancare improvvisamente l’ex coniuge, e con lui l’assegno di mantenimento, ha quindi a disposizione molteplici strumenti per poter fra fronte autonomamente ai proprio bisogni economici, o quantomeno a quelli di primaria necessità.

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L’assegno di divorzio: come muoversi per non farsi sorprendere

Una volta maturati i tempi per chiedere il divorzio, i due coniugi possono decidere di procedere con il definitivo scioglimento del matrimonio. Indipendentemente da quanto accaduto in sede di separazione, in questa fase vengono comunque effettuate le analisi economiche necessarie per poter definire l’eventuale assegno divorzile. Non sempre però i coniugi sono a conoscenza della reale situazione economica del partner.

Sono frequenti, per esempio, quei casi in cui la moglie, che per l’intera durata del matrimonio ha svolto un’attività casalinga, non abbia affatto chiaro il quadro economico familiare ed ignori l’ammontare del patrimonio e delle disponibilità economiche del marito. In un simile contesto, senza l’adeguato supporto, la moglie potrebbe incorrere in un grosso rischio: qualora le venisse riconosciuto un assegno divorzile, questo potrebbe essere calcolato su stime approssimative ed essere inferiore alle reali disponibilità del marito. Ecco che quindi risulta essenziale affidarsi a professionisti che aiutino il coniuge a fare luce sull’intera situazione.

Cos’è l’assegno di divorzio

Prima di tutto precisiamo che l’assegno di divorzio o post-matrimoniale è un contributo economico di natura assistenziale: mira cioè a tutelare la parte economicamente più debole della coppia garantendole i mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello in essere durante il matrimonio. Per ottenerlo, è indispensabile esaminare il criterio del tenore di vita insieme al contributo fornito alla conduzione della vita familiare dal coniuge in una concezione “composita” dell’assegno di mantenimento per la determinazione del quale deve essere fatta una valutazione più armonica e comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali.

E’ bene sottolineare che il coniuge che richiede l’assegno non deve necessariamente trovarsi in stato di bisogno, ma semplicemente in una condizione di svantaggio: lo scopo, infatti, è ristabilire attraverso l’assegno un equilibrio tra le parti dopo lo scioglimento del matrimonio.

Come viene determinato l’assegno di divorzio

Se le parti non trovano un accordo, Il processo di definizione dell’assegno divorzile prevede due fasi.

In primo luogo, il Giudice deve valutare se esiste o meno il diritto in astratto all’assegno, tenendo in considerazione tutta una serie di parametri. Tra questi, imprescindibile è l’analisi delle condizioni del coniuge richiedente cui abbiamo accennato in precedenza.

Se le condizioni in astratto ci sono, il Giudice dovrà allora definire concretamente l’ammontare dell’assegno.

Questa è una fase estremamente delicata nella quale è importante avere un quadro d’insieme completo. Per questo è preferibile rivolgersi ad uno Studio che collabori con un team di professionisti multidisciplinari, che operino su diversi livelli, per avviare eventuali indagini che approfondiscano e chiariscano la condizione economica e patrimoniale di marito e moglie: il loro reddito, gli eventuali immobili di proprietà, le pensioni sociali o d’invalidità e comunque la consistenza dell’intero patrimonio.

Commercialisti, consulenti e perfino investigatori privati, se necessario, lavorano insieme allo studio legale. L’obiettivo è mettere a fuoco il reale stato economico della controparte così come il contributo personale ed economico dato dai coniugi nella quotidianità dei bisogni della famiglia e dell’incremento del patrimonio.

Ecco perché, come nell’ipotesi delineata, è raccomandabile che il coniuge non si lasci tentare da un approccio “fai-da-te”, ma si rivolga a figure professionali qualificate, per tutelarsi al meglio e difendere i propri diritti.

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Dopo il divorzio, una nuova storia d’amore. Cosa accade all’assegno divorzile in caso di convivenza

Un matrimonio fallito alle spalle è senza dubbio una ferita che pesa. Eppure, anche quando si è convinti di non “avere più l’età” per innamorarsi o quando l’idea di un nuovo partner è proprio l’ultimo dei pensieri, può capitare del tutto inaspettatamente di ritrovarsi a vivere una relazione serena e felice.

Può così accadere che una donna, chiuso il capitolo del primo matrimonio, incontri un nuovo partner e inizi con lui una storia d’amore. Col tempo, se tutto procede per il meglio, potrebbe tornare a farsi vivo il desiderio di mettere radici più profonde, ad esempio andando a convivere e rendendo in questo modo più stabile il rapporto anche nella quotidianità. Vivere insieme è infatti un traguardo importante e significativo, da affrontare a cuor leggero se è ciò che si desidera realmente, ma quando si ha un divorzio alle spalle è bene conoscere quali potrebbero essere le conseguenze che una nuova convivenza potrebbe comportare, in primo luogo se si è titolari di un assegno divorzile.

Nuove nozze dopo il divorzio

L‘obbligo di corrispondere l’assegno all’ex coniuge viene meno in caso di seconde nozze. Se, cioé, il beneficiario decide di risposarsi, il suo diritto all’assegno divorzile cessa definitivamente. E’ necessario, però, depositare apposita istanza di modifica delle condizioni di divorzio al Tribunale competente.

La convivenza

Si può giungere ad una revisione delle condizioni di divorzio, anche quando il beneficiario inizi una nuova convivenza che ha carattere di stabilità e continuità. In particolar modo l’ex coniuge potrà perdere l’assegno di mantenimento, o vederselo ridotto, senza possibilità di chiederlo nuovamente, anche qualora la convivenza dovesse finire.

Non pensiamo, quindi di evitare intenzionalmente le nozze col nuovo compagno per il timore di perdere l’assegno di mantenimento privilegiando viceversa una convivenza, perché anche in quest’ultimo caso si potrebbe rischiare di vedersi negato il diritto all’assegno. Se l’ex richiedesse al tribunale una revisione degli accordi, il Giudice potrebbe stabilire una diminuzione dell’importo o perfino esonerarlo del tutto dall’obbligo di pagamento.

In qualsiasi circostanza, però, è bene precisare che l’assegno non può essere sospeso di propria iniziativa dal coniuge obbligato a versarlo. Solo una sentenza emessa dal Giudice può stabilire una revisione o la sua totale cancellazione.

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Cambiare lavoro per cambiare vita. Le conseguenze sull’assegno divorzile

Il lavoro rappresenta una componente fondamentale nella vita contemporanea: permette a ciascuno di ottenere quell’indipendenza economica necessaria non solo per poter realizzare il proprio progetto di vita – coniugale o meno – ma anche per poter dare libero sfogo alle proprie passioni. Molto spesso però il lavoro finisce per assorbire quelle energie, quell’attenzione e quel tempo libero che invece si vorrebbe dedicare ad altro.

Non è un caso il fatto che stia prendendo piede anche in Europa la cosiddetta pratica del downshifting. Uomini e donne, specie professionisti, decidono di riprendere in mano le redini della propria esistenza: volontariamente scelgono di rinunciare a una parte dello stipendio pur di rallentare i ritmi e godersi di più la vita. E’ con questo spirito che si opta per una riduzione dell’orario di lavoro o per il pensionamento anticipato. Non sempre però la decisione trova la giusta accoglienza da parte del partner o perfino dell’ex.

La diminuzione dello stipendio e l’assegno di divorzio

Col diminuire della disponibilità economica, il coniuge che è chiamato a versare l’assegno divorzile può chiederne la revisione. Ecco perché sono molto frequenti i casi in cui la scelta dell’ex marito di ridurre il proprio orario di lavoro o di andare in pensione viene osteggiata dall’ex moglie. Di fatto, la donna potrebbe interpretare la decisione dell’ex come una forma di ripicca nei suoi confronti, che si manifesterebbe nella diminuzione dell’assegno divorzile.

Tuttavia, al di là delle pretese dell’ex, la Cassazione ha stabilito che i cambiamenti economici dovuti a una scelta volontaria dell’ex coniuge rientrano di regola tra i giustificati motivi che prevedono la possibilità di rivedere l’assegno di mantenimento.

Il lavoro, la carriera, il prepensionamento sono scelte che rientrano tra i diritti di libertà della persona e come tali devono essere tutelati. Ecco che, per esempio, l’ex coniuge che decide di cambiare lavoro o passare da un full time a un orario part time, può chiedere, a fronte della diminuzione del proprio reddito, che le/gli venga ridotto l’ammontare dell’assegno di divorzio da pagare.

Procedimento di revisione dell’assegno divorzile

Affinché le condizioni dell’assegno di mantenimento vengano riviste, però, è sempre necessario rivolgersi al Tribunale. Il Giudice, a fronte di una domanda di revisione, dovrà riesaminare la situazione patrimoniale e reddituale dei due coniugi, alla luce delle novità emerse rispetto alla fase di divorzio. Verranno presi in considerazione, tra i vari aspetti, gli eventuali immobili di proprietà o in locazione, le rendite finanziarie, oltre al reddito da lavoro o alla pensione. Sarà solo dopo un’accurata valutazione delle condizioni economiche di entrambe le parti che verrà effettuata la revisione dell’assegno, soprattutto nel caso in cui vi sia un evidente mutamento.

L’ex coniuge che intende anticipare la pensione, cambiare lavoro o ridurre gli orari per avere a disposizione più tempo libero, quindi, non deve temere che questo suo desiderio venga male interpretato dal Giudice nel momento in cui dovesse richiedere una riduzione dell’assegno divorzile. Le decisioni del lavoratore che comportano una diminuzione del suo reddito non sono contestate a prescindere, ma diventano un presupposto per ribilanciare la situazione economica delle parti.

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Tasse e assegno di divorzio. Le quote che “fanno reddito”

Ai fini fiscali, è bene tener presente che l’assegno di mantenimento – se si tratta di un assegno periodico – è considerato al pari del reddito da lavoro dipendente. Quindi, la somma riconosciuta in fase di sentenza di divorzio al coniuge che si trova nella condizione di svantaggio economico è al lordo delle tasse. Questo significa che il netto che il coniuge beneficiario dell’assegno effettivamente percepirà sarà inferiore.

È evidente che, specularmente, il coniuge che corrisponde l’assegno all’ex può dedurlo dalle tasse. È necessario però che si tratti di assegni periodici; le somme corrisposte una tantum non sono infatti detraibili in fase di dichiarazione dei redditi.

L’assegno di mantenimento dei figli

In maniera del tutto differente vengono trattati a livello fiscale gli assegni destinati al mantenimento dei figli. Questi non possono essere dedotti dal reddito del coniuge che li versa e, di conseguenza, non sono inclusi nel reddito del coniuge che li riceve. Tutto ciò implica che, se la sentenza di divorzio ha previsto un unico assegno periodico che include sia il mantenimento del coniuge sia quello dei figli, solo la parte che spetta al coniuge deve essere inclusa nella dichiarazione dei redditi. Su questa il coniuge beneficiario vi pagherà le tasse, mentre il coniuge obbligato al versamento la potrà dedurre dal suo reddito.

Se si considerano entrambe la parti, il coniuge chiamato a corrispondere l’assegno è leggermente agevolato rispetto al beneficiario, in quanto grazie alla deducibilità fiscale dell’assegno andrà a pagare meno tasse.

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Beni e conti non dichiarati fanno correre rischi anche in caso di divorzio

Quante volte abbiamo assistito a casi in cui un coniuge, magari imprenditore o libero professionista, ha un giro d’affari piuttosto limitato ma, al contempo, risulta proprietario di beni o intestatario di conti corrente non dichiarati al fisco. In fase di divorzio, la moglie, che pretende di mantenere un tenore di vita simile a quello avuto durante il matrimonio potrebbe avanzare una richiesta di assegno divorzile elevata. Se ben consigliata, potrebbe avere interesse a far luce sulla reale condizione economica e patrimoniale del marito e ottenere una cifra più cospicua per il mantenimento.

Le dichiarazioni dei redditi non bastano

Per poter determinare l’entità dell’eventuale assegno post-matrimoniale, infatti, sono necessarie delle valutazioni sulla condizione economica dei due coniugi. Le due parti devono presentare davanti al giudice prove concrete del reddito e del patrimonio di cui dispongono. La dichiarazione dei redditi non è però l’unico punto di riferimento: il Giudice, specialmente se è portato a sospettare dell’esistenza di beni, conti o azioni e obbligazioni non dichiarate, potrebbe richiedere accertamenti fiscali anche mediante ispezioni della polizia tributaria. Non solo: è nelle sue facoltà la possibilità di esonerare la banca dall’obbligo del segreto bancario nel caso ritenga che l’interesse del singolo individuo o della banca stessa siano in contrasto con le esigenze della giustizia. In tal caso, la Banca sarebbe costretta a presentare in giudizio tutti quei documenti che riguardano il cliente e che sono necessari a chiarire i fatti.

E’ quindi bene considerare se la propria posizione fiscale presenti zone d’ombra poiché, con gli accertamenti e la procedura istruttoria in sede civile, vi è la concreta possibilità che l’effettivo stato patrimoniale venga correttamente individuato con il risultato non solo di dover dare un elevato assegno di mantenimento al coniuge, ma di subire indagini di polizia tributaria con le conseguenti implicazioni penali e fiscali.

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Pro e contro dell’assegno divorzile una tantum

È innegabile che l’assegno divorzile una tantum rappresenti in prima battuta un esborso economico di un certo peso. Presuppone che ci sia una discreta liquidità, magari accumulata nel corso di diversi anni di lavoro. Tuttavia, quest’ipotesi potrebbe rivelarsi la più adatta in determinate circostanze.

Si consideri il caso in cui lei è un’imprenditrice di successo che sta meditando di espandere il suo business. Il marito, al contrario, si è sempre dimostrato poco concreto nella ricerca di un posto di lavoro al punto da non essere stato in grado di costruirsi nel tempo una discreta posizione economica. Durante il matrimonio ha sempre vissuto di rendita, grazie alla presenza e al supporto della moglie. All’atto del divorzio, l’ex moglie potrebbe temere che la corresponsione di un assegno periodico possa essere rischiosa. In futuro, infatti, il marito potrebbe chiedere degli aumenti, magari per approfittare dei successi professionali della ex o, se dovesse subire una diminuzione, dei propri redditi.

Una Tantum, differenze

A differenza dell’assegno periodico, quello una tantum sottrae automaticamente il coniuge che l’ha versato da eventuali domande di revisione. Il beneficiario, quindi – nel caso in analisi, il marito – non potrà un giorno avanzare nuove richieste economiche o modificare gli accordi raggiunti. Di fatto non potrà più richiedere alcuna somma ulteriore oltre a quella già ricevuta. Non solo: perderà anche il diritto alla sua quota di TFR, alla pensione di reversibilità e – in caso di morte – all’eventuale assegno a carico dell’eredità, unica eccezione sarebbe l’assegno alimentare.

D’altra parte, il coniuge beneficiario dell’assegno potrà incassare immediatamente una somma cospicua di denaro o altri trasferimenti patrimoniali, e nessuna vicenda personale potrà influire sull’accordo raggiunto. L’ex marito potrà insomma intraprendere una nuova convivenza o decidere di convolare a nozze con una nuova donna, senza che queste decisioni influiscano in alcun modo sulla somma già ricevuta.

Un profilo di attenzione relativo all’assegno una tantum riguarda la modificabilità da parte dell’obbligato. Se è vero infatti che questo non è revisionabile da parte del beneficiario, lo è invece per l’obbligato. Nel caso di un peggioramento delle sue condizioni economiche, infatti, il coniuge che ha versato l’assegno potrebbe richiedere una modifica delle condizioni di divorzio e reclamare a sua volta un assegno di mantenimento. È un aspetto che spesso viene trascurato, ma che è invece bene conoscere.

 Ciò che invece è del tutto precluso al coniuge che versa l’assegno una tantum è la possibilità di dedurlo dal reddito: quest’opzione resta valida solo e unicamente per gli assegni periodici. Complessivamente, quindi, quella dell’assegno una tantum rappresenta la soluzione più conveniente per il coniuge che dispone di una discreta somma di denaro perchè se nel breve termine rappresenta una spesa significativa, a lungo termine consente di evitare ogni possibile “rivendicazione” economica da parte dell’ex.

Si tratta in ogni caso di una scelta che deve essere concordata dai due coniugi e che deve sempre passare al vaglio del Giudice, il cui compito sarà stabilire se l’ammontare dell’assegno sia equo

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L’assegno una tantum… a rate

Quando vogliamo chiudere ogni rapporto con l’ex coniuge, e abbiamo raggiunto un accordo, versare in un’unica soluzione l’assegno di mantenimento potrebbe essere il modo più rapido per risolvere le questioni economiche. Non sempre però abbiamo a disposizione una somma sufficiente per concordare una quota una tantum.

Immaginiamo per esempio una coppia giovane che, dopo qualche anno di matrimonio, decide di separarsi e infine di divorziare. Il marito, che come dicevamo prima potrebbe non aver immediatamente a disposizione grosse somme di denaro, ha però la prospettiva di aumentare il proprio stipendio in futuro.

In questi casi possiamo valutare la possibilità di rateizzare l’importo. Non si tratta però di un assegno di mantenimento periodico (quindi soggetto ad adeguamenti successivi), ma di un importo fisso immodificabile nel tempo. In altre parole, la moglie non potrà chiedere in futuro che la rata pattuita precedentemente venga aumentata.

Pagare la rata del mutuo

Un’alternativa che possiamo scegliere, invece di versare l’importo all’ex coniuge tutto in una volta, èiquella di cedergli un immobile, ad esempio la casa familiare, e provvedere al pagamento delle eventuali rate del mutuo fino al saldo completo con la banca. Un accorgimento importante è quello di fare attenzione al costo totale del mutuo: un tasso fisso, infatti, consentirebbe di sapere fin da subito il totale dovuto, un tasso variabile no, per questo nelle condizioni di divorzio si potrebbe concordare l’importo massimo che verrà versato.

In ogni caso, anche versare la rata del mutuo ci permette di mantenere tutti i vantaggi di un assegno liquidato in un’unica soluzione. Proprio per questo però non si tratta di un accordo modificabile. La nota dolente è che, a differenza di un assegno di mantenimento, se l’ex coniuge dovesse risposarsi, avremo comunque l’obbligo di versare la rata fino alla completa estinzione del debito con la banca.

In definitiva, anche se non abbiamo a disposizione una somma sufficiente per versare l’assegno di mantenimento in un’unica soluzione, è ugualmente possibile valutare questa possibilità. Ricordiamo, però, che si tratta di una decisione che va concordata tra i coniugi e approvata dal Tribunale.

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Trasferimenti immobiliari al posto dell’assegno una tantum? Una soluzione possibile

Se si dispone di un patrimonio ingente e diversificato e si sta pensando di iniziare un procedimento di divorzio è utile sapere che ci sono alternative all’assegno di mantenimento mensile. La soluzione dell’assegno una tantum ne è un esempio, tramite il quale è possibile “liquidare” i diritti economici del coniuge anche attraverso trasferimenti patrimoniali, come somme di denaro, titoli azionari, beni mobili o immobili.

Se il marito, ad esempio, è proprietario di diverse abitazioni, la moglie potrebbe proporre un accordo che le riconosca il passaggio di proprietà di una o più case al posto dell’assegno di mantenimento. Oltre all’aspetto economico, dietro una scelta di questo tipo potrebbero esserci motivazioni più profonde come un legame affettivo ai luoghi frequentati durante il matrimonio.

La decisione dovrà essere comune e dovrà passare al vaglio del Giudice, ma potrebbe configurarsi come la soluzione migliore per tutte le parti coinvolte. Tornando all’esempio, la moglie potrebbe decidere di non volere una dipendenza economica dal marito negli anni a venire, mentre quest’ultimo avrebbe la possibilità di fermare sul nascere qualsiasi eventuale rivendicazione economica futura. Come la corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione, infatti, anche il trasferimento patrimoniale è un accordo che non prevede revisioni – se si escludono specifiche eccezioni – e a fronte del quale il beneficiario non può più rivalersi sull’ex.

Vantaggi fiscali dei trasferimenti

Un ulteriore vantaggio previsto per i trasferimenti immobiliari che avvengono durante il divorzio è la totale esenzione da tutte le imposte. Marito e moglie quindi saranno dispensati dal pagamento delle imposte di registro, ipotecarie, catastali, dal bollo e da tutti gli altri tributi accessori e il beneficiario dell’immobile – la moglie nell’esempio – potrà godere anche delle agevolazioni per la prima casa, se effettivamente l’immobile trasferitole sarà utilizzato come abitazione principale (e purché resti di sua proprietà per almeno 5 anni).

Inoltre, è fondamentale considerare che il passaggio di proprietà dell’immobile, essendo a tutti gli effetti un una tantum, ha carattere definitivo. Ciò significa che alla morte del coniuge che ha acquisito di diritto l’immobile, questo si trasferirà ai suoi eredi e non tornerà più di proprietà del coniuge “originale”.

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I limiti dell’assegno divorzile una tantum

L’assegno una tantum comporta che il beneficiario non possa più avanzare pretese economiche verso l’ex coniuge ma permette a quest’ultimo di farlo in caso di successive proprie difficoltà.

In sede di divorzio, nell’ottica di risolvere in modo definitivo ogni vicendevole pretesa economica, marito e moglie potrebbero ipotizzare un accordo che preveda il pagamento di un assegno divorzile una tantum reciproco. Agli occhi dei due coniugi questa soluzione potrebbe rappresentare la soluzione migliore per non correre il rischio appena accennato.

Tuttavia, la legge non prevede questa possibilità. La ragione principale è da ricercarsi nel principio su cui è fondato il riconoscimento dell’assegno di mantenimento e cioé la natura assistenziale dello stesso. Affinché venga riconosciuto dal Giudice l’assegno di mantenimento, infatti, è necessario che con il divorzio si venga a creare uno squilibrio economico tra le parti con un coniuge economicamente più forte rispetto all’altro. In uno scenario di questo tipo, e in virtù di un principio di solidarietà che dovrebbe permanere anche in caso di scioglimento del matrimonio, l’assegno verrebbe riconosciuto alla parte più debole della coppia.

Se al contrario si ammettesse la possibilità di ciascun coniuge di chiudere la fase di divorzio con il versamento reciproco di un assegno una tantum, si configurerebbe un caso del tutto anomalo: marito e moglie sarebbero cioè contemporaneamente parte debole e parte forte.

E’ doveroso sottolineare che il Tribunale rigetterebbe la domanda perché vedrebbe un accordo di questo tipo come un negoziato privato in contrasto con le norme imperative e di ordine pubblico, oltre che per il mancato rispetto dei principi che regolano l’assegno di mantenimento.

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Per il coniuge divorziato non vale il detto “finché morte non ci separi”

Spesso si evita di parlarne perché in fondo son pensieri che è meglio allontanare. Ma alcune volte dopo la fine di un matrimonio, dopo aver regolato tutti i rapporti, ci si trova a pensare a cosa succede se l’ex coniuge muore, o ancora a quali sono possano essere i diritti del coniuge divorziato rimasto in vita oppure cosa succede se nel frattempo l’ex coniuge si è risposato.

Con il divorzio, ex marito ed ex moglie sono a tutti gli effetti liberi di ricostruirsi una nuova vita. Ecco quindi che si materializza l’ipotesi che ciascuno dei due decida di rifarsi una famiglia. In questa eventualità subentrano quindi, all’interno delle dinamiche tra i due ex, nuove figure, con relativi diritti e doveri. Ma anche in presenza di eventuali nuovi compagni o figli nati in seconde nozze, è bene sottolineare che non vengono meno i diritti economici dell’ex coniuge.

Ad esempio, in questi casi l’ex coniuge mantiene il diritto all’assegno di mantenimento che potrebbe però essere revisionato. Alcuni diritti della prima moglie valgono sia finché l’ex marito è in vita, sia dopo la sua morte. Nel caso in cui l’ex venisse a mancare, per esempio, ha il diritto di chiedere una quota della pensione di reversibilità.

Pensione di reversibilità, presupposti

Il nostro ordinamento stabilisce che la pensione di reversibilità spetta, alla morte del lavoratore pensionato, ai suoi familiari tra i quali vengono ricomprese sia l’eventuale coniuge superstite sia l’ex.

Ci sono però due condizioni che l’ex coniuge deve rispettare per poter ottenere la pensione di reversibilità: non deve essersi risposato e deve essere titolare di un assegno di divorzio periodico.

Per quanto ostile o ingombrante possa sembrare, il coniuge divorziato continua ad avere un peso nella vita del proprio ex e della nuova eventuale famiglia. Il nuovo marito o la nuova moglie dell’ex non possono opporsi a che il coniuge divorziato percepisca la sua quota di pensione di reversibilità, qualora l’ex dovesse venire a mancare in quanto si tratta di un diritto riconosciuto a chi ha condiviso una parte di vita, più o meno duratura, con il defunto. Non si pensi ad una facile estromissione del coniuge divorziato, perché nel caso in cui venisse estromesso potrà citare in giudizio il nuovo coniuge al fine di vedersi riconosciuto il diritto a ricevere la propria quota.

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