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L’affidamento temporaneo: una tutela per i minori in caso di difficoltà familiari

L’affidamento temporaneo è uno strumento a tutela dei minori che vivono difficoltà familiari sia dal punto di vista economico che in presenza di maltrattamenti o estreme conflittualità con i genitori. Una delle casistiche più frequenti verificatesi negli ultimi anni, dopo che la crisi economica ha colpito pesantemente le famiglie del cosiddetto “ceto medio”, è quella dei genitori che si rendono conto di non poter più mantenere il proprio figlio.

L’affido può essere deciso d’accordo con i genitori

 

Pensiamo ad una famiglia monoreddito che si trova in una difficile condizione economica in seguito alla perdita del posto di lavoro del marito. Nonostante i tentativi del padre di trovare una nuova occupazione, la famiglia non può più garantire al figlio di crescere e studiare in tranquillità. In questo caso gli stessi genitori possono allertare i servizi sociali del comune di residenza i quali intervengono per chiedere al giudice tutelare, di concerto con madre e padre, di emettere un provvedimento di affidamento del minore a terzi della durata necessaria a far ristabilire la famiglia di origine.

Se, invece, manca il consenso dei genitori, l’affido può essere deciso con un provvedimento del Tribunale per i minorenni.

L’affido è, infatti, un provvedimento temporaneo, che ha l’obiettivo di garantire ai minori il diritto a mantenimento, educazione e istruzione nel caso in cui i genitori non siano in grado di provvedervi. Si tratta di uno degli strumenti previsti dal legislatore per aiutare i figli minorenni di famiglie in difficoltà.

 

I requisiti per diventare affidatari e i doveri dell’affidatario

 

Per poter diventare affidatari, è necessario dichiarare la propria disponibilità al servizio sociale locale, che è competente per la valutazione dell’idoneità ad accogliere minori in affidamento. Possono presentare domanda anche coppie senza figli e persone single, anche se la precedenza viene concessa a coppie sposate con figli minori.

Se non si trova una famiglia disposta ad accogliere il minore, il giudice può decidere l’affidamento a un istituto.

L’affidatario deve accogliere il minorenne, mantenerlo ed educarlo, seguendo comunque le indicazioni dei genitori biologici e favorendo il più possibile i rapporti fra il minore e la famiglia di origine: l’affido è infatti un provvedimento temporaneo, e l’affidatario è tenuto a favorire il più possibile il reinserimento nella famiglia di origine non appena questo sarà possibile.

La legge prevede delle agevolazioni per chi diventa affidatario di un minore: la Regione può disporre degli interventi di aiuto economico, mentre il giudice può decidere che l’affidatario riceva assegni familiari ed eventuali prestazioni previdenziali relative al minore.

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Separazione e divorzio: prevalenza dell’affidamento condiviso dei figli | Conflittualità mamma e papà

Dopo la separazione o il divorzio dei genitori il Tribunale tende a pronunciare con prevalenza l’affidamento condiviso dei figli anche se mamme e papà vivono un rapporto di forte conflittualità.

Quando il Tribunale deve decidere sulla sorte dei figli minorenni nel momento in cui la loro famigli a si disgrega, infatti, è tenuto a prendere provvedimenti che devono soddisfare un requisito fondamentale: preservare il loro interesse e il loro diritto alla bigenitorialità. Il giudice deve cioè assicurare ai figli la possibilità di crescere in un ambiente sereno, conservando rapporti significativi con entrambi i genitori anche dopo che il loro matrimonio o la loro unione sono terminati. È per questa ragione che la normativa pone in una posizione di privilegio l’affidamento condiviso.

Differenza tra affidamento e collocazione

 

Nel linguaggio comune, i concetti di “affidamento” e “collocazione” vengono confusi e spesso utilizzati impropriamente. In realtà tra i due termini vi è una sostanziale differenza.

Affidamento significa individuare il genitore che debba esercitare la responsabilità sui figli, prendendo sia le decisioni quotidiane che quelle di primario interesse per loro, con un coinvolgimento esclusivo del genitore nella vita del bambino ed un obbligo di educazione del figlio seguendo la sua crescita psicofisica.

Viceversa, la collocazione identifica unicamente il genitore con cui il figlio vive prevalentemente.

Negli ultimi anni i Giudici si esprimo con una prevalenza netta in favore di un affidamento condiviso dei figli con la collocazione presso uno dei due genitori, che, statisticamente, è più spesso la madre. Ciò significa che i figli continuano solitamente a vivere nella casa familiare con il genitore collocatario e che l’altro avrà il diritto e il dovere di collaborare alla loro educazione, dividendo con l’ex le responsabilità e gli obblighi della loro formazione, contribuendo al mantenimento ma anche alle scelte inerenti alla loro vite.

Le condizioni per l’affidamento condiviso

L’affidamento condiviso si caratterizza, quindi, non per l’esatta suddivisione dei tempi che il minore trascorre con l’uno o con l’altro genitore, ma per la condivisione delle scelte educative e formative e per la pari partecipazione comune alla vita del figlio. Lo scopo infatti è responsabilizzare i genitori nella tutela dei minori coinvolti.

Solo se l’affidamento a uno dei due genitori può danneggiare in modo concreto ed effettivo il figlio, l’opzione che verrà perseguita sarà quella dell’affido esclusivo all’altro genitore.

Si tratta però di casi estremi. Per fare solo alcuni esempi dovrebbe verificarsi una grave conflittualità tra minore e genitore o una situazione di maltrattamento del bambino o tossicodipendenza del papà o della mamma. La semplice conflittualità tra coniugi, invece, non costituisce motivo sufficiente per impedire l’affidamento condiviso. D’altronde, due persone possono decidere in qualsiasi momento di porre fine alla loro unione e ricominciare da zero, ma due genitori non dovrebbero mai sottrarsi ai loro doveri nei confronti dei figli.

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Religioni diverse dei genitori non condizionano l’affidamento del figlio | Separazione e divorzio

Due genitori possono professare religioni diverse: questo normalmente non influenza la decisione sull’affidamento del figlio nell’ambito del giudizio di separazione o divorzio. È indubbio, però, che esistono alcune scelte nella vita di una persona che possono incidere in maniera significativa sulla sua esistenza e, a volte, su quella delle persone che la circondano, come i familiari. La decisione di abbracciare una nuova fede potrebbe essere uno di questi casi.

Pensiamo ad una coppia in procinto di separarsi in cui la moglie si è appena convertita ad una nuova professione religiosa. Questa confessione prevede, per i fedeli più osservanti, il rifiuto di sottoporsi a trasfusioni di sangue o a trapianti di organi, col rischio di poter mettere in pericolo, in caso di gravi emergenze, la loro stessa vita.

Il marito ha delle forti perplessità in merito al nuovo credo della moglie che ha apportato un radicale cambiamento nelle sue abitudini e frequentazioni e teme che questa rivoluzione nella vita personale della donna possa influenzare anche la vita dei loro bambini. Per questo preferirebbe che potessero restare a vivere con lui.

La religione è una scelta libera difesa dalla Costituzione

 

La fede religiosa è espressione dell’individualità di ciascuno, rappresenta una libera scelta e, in quanto tale, è difesa dalla Costituzione Italiana. Convertirsi a una nuova fede rappresenta una decisione legittima alla quale nessuno può opporsi.

Per questa ragione, in sede di separazione o divorzio, la religione non può essere di per sé fattore discriminante sulla base del quale il Giudice può decidere o meno a chi affidare o collocare i minori. Perché questo avvenga, è necessario che sia dimostrato che le pratiche religiose messe in atto dal genitore possano arrecare danni psicologici, fisici o formativi al minore.

 

Le possibilità del marito di ottenere la collocazione dei figli dipendono dal fatto che riesca a dimostrare, durante la causa, che la conversione della moglie costituisce concretamente un fattore di rischio per i bambini. Oppure che, in virtù della nuova fede della mamma, i minori siano costretti a cambiare radicalmente il loro stile di vita, le abitudini e i rapporti sociali, provocando loro smarrimento, turbamenti e difficoltà relazionali.

La sola conversione della madre e l’eventuale difficoltà di conciliare le convinzioni ideologiche tra marito e moglie non basterà per ottenere la collocazione dei figli.

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Affidamento e collocazione di più fratelli: valore alla volontà del minore con l’ascolto in giudizio

Durante il giudizio di affidamento o collazione dei figli, siano i genitori sposati o conviventi, ha sempre più valore la loro volontà. In particolare nel caso in cui siano coinvolti più fratelli è possibile procedere con l’ascolto di ciascun minore in giudizio, compatibilmente con l’età e la capacità di discernimento.

Noi siamo abituati a pensare ai figli come persone che hanno voce in capitolo, invece, sempre più spesso le cose in questo senso stanno cambiando e la volontà dei minori sta assumendo maggiore rilevanza.

L’importanza di dare valore alla volontà dei minori nel giudizio di affidamento

Per capire meglio potremmo fare un esempio di una famiglia dove i genitori si stanno separando e ci sono tre figli, di cui uno ormai adolescente: pensiamo ad un quindicenne o sedicenne, e gli altri due di pochi anni più piccoli.

A differenza di questi ultimi, particolarmente attaccati alla madre, il più grande ha sempre avuto un legame speciale con il padre, con cui condivide la passione per lo sport. Fin da quando era solo un bambino, il ragazzo ha partecipato col padre a gare e concorsi anche su scala nazionale. I due hanno quindi trascorso molto tempo insieme fin dall’infanzia del figlio, dedicandosi alla loro passione e sviluppando un particolare feeling. Per queste ragioni il ragazzo vorrebbe poter continuare a vivere, anche dopo la separazione, col papà.

Per esigenze lavorative, il padre si allontana spesso da casa, fattore che senz’altro potrebbe ostacolare la decisione del Giudice di far abitare con lui tutti e tre i figli, peraltro i due più piccoli vorrebbero assolutamente stare con la mamma.

I genitori vorrebbero quindi venire incontro ai desideri dei figli ma in questi casi sorge anche il dubbio se sia possibile separare i fratelli perché la collocazione dei figli tende a non essere suddivisa tra i due genitori essendo preferibile evitare di dividere fratelli e sorelle per non causare un allontanamento traumatico. Quando siamo davanti ad una decisione condivisa, e anzi richiesta dagli stessi figli, non è però escluso che questa soluzione venga accolta dal Tribunale.

L’ascolto del minore

 

La volontà del minore, soprattutto se capace di comprendere ed esprimere le proprie necessità e i propri desideri, è rilevante in un procedimento nel quale si deve decidere del suo futuro, per questo motivo è previsto il diritto del minore ad essere ascoltato, e quindi che il Giudice ascolti sempre il minore maggiore di 12 anni per prendere provvedimenti che lo riguardano in maniera diretta, ma anche i bambini di età inferiore, se già in grado di esprimersi e più in generale se capaci di discernimento.

L’ascolto è fatto dal Giudice, e può anche avvenire in presenza di esperti. Tuttavia, quando la volontà del minore si rivelasse in contrasto con i suoi interessi, o quelli dei fratelli, il Giudice potrebbe dover prendere provvedimenti diversi da quanto emerso dalla fase di ascolto.

L’ipotesi di collocare i figli più piccoli presso un genitore e il ragazzo adolescente presso l’altro, come prospettato in precedenza, potrebbe risultare un’opzione praticabile nel caso il Giudice ascoltasse il ragazzo, magari anche i fratelli, e capisse che la sua reale volontà non è dannosa, né per sé né per i fratelli.

Bisogna però fare particolare attenzione anche ai fratelli più piccoli che, forse, in questo caso finiscono per essere i soggetti più fragili: in una fase delicata come è la separazione, vedere già il papà allontanarsi dalla loro vita quotidiana rende ancor più difficile pensare anche di doversi distaccare dal fratello maggiore.

Certamente il tutto sarebbe più facile se i genitori continuassero ad abitare nella stessa città, ma comunque, a certe condizioni, si assiste a trasferimenti in un’altra città, anche lontana o all’estero.

Il Tribunale quindi, valutate tutte le circostanze del caso, e sentiti i genitori, dovrebbe convocare i minori e ascoltare i loro pareri e desideri, così da tenerne conto nella definizione dei provvedimenti da adottare per la collocazione.

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Rischi per chi ostacola il rapporto tra il figlio e l’altro genitore

Incontriamo ogni giorno persone che purtroppo pensano che i figli siano di loro esclusiva proprietà, che hanno una morbosa possessività: li si sente continuamente dire i “miei” figli, mai i “nostri”, quasi a voler negare la figura genitoriale dell’altro. Se poi neppure accettano di poter avere un rapporto sereno con l’ex dopo la fine della loro storia d’amore, si finisce quasi sempre per litigare e la gestione dei figli risulta molto conflittuale. Ogni scusa è valida per impedire ai bambini di poter vedere e frequentare l’altro genitore. L’orario delle visite viene puntualmente modificato senza preavviso, impegni imprevisti e scuse di vario genere costringono l’ex, sempre più spesso, a dover rinunciare a far visita ai minori.

Conseguenze civili per chi ostacola il diritto di visita

Molto frequentemente queste persone ignorano che ostacolare il diritto di visita di un genitore è un comportamento che può essere sanzionato e punito, perché impedisce il corretto svolgimento delle modalità di affidamento stabilite dal Giudice. Sono innanzitutto i diritti del bambino ad essere lesi: il diritto alla bigenitorialità di avere legami equilibrati e continuativi con entrambi i genitori, il diritto a godere di una equilibrata e serena crescita psicofisica, il diritto ad avere un rapporto affettivo stabile e significativo, il diritto a ricevere una costante educazione ed istruzione, sono questi solo alcuni dei primari interessi del minore che devono assolutamente essere tutelati e garantiti.

Di fronte a questi comportamenti volontari e ripetuti nel tempo, il genitore che si vede limitato nel suo diritto di visita al figlio può però ricorrere in Tribunale. Il Giudice dovrà accertare la violazione degli accordi stabiliti per l’affidamento e la gestione della prole e potrà adottare i provvedimenti che ritiene più opportuni: potrebbe anche modificare gli originari provvedimenti, dal semplice aggiustamento o integrazione per risolvere il contrasto o le incertezze tra i genitori, alla vera e propria revisione nei casi più gravi. Il Giudice potrebbe inoltre procedere all’ammonizione del genitore inadempiente, indicando: quale sia il comportamento che il genitore deve tenere e richiamandolo ad evitare ulteriori inottemperanze, pena l’irrogazione di misure più severe. L’ammonizione fatta dal Giudice ha, quindi, una importante funzione preventiva e di deterrente psicologico.

In base al danno che risulterà dalle violazioni compiute, il Giudice potrà stabilire se procedere con la sola ammonizione o addirittura definire un risarcimento danni sia nei confronti del genitore che procede che nei confronti dei figli, lesi nel loro diritto ad una sana bigenitorialità.

Quando s’impedisce o si ostacola il rapporto del figlio con l’altro genitore, infatti, si va a ledere un diritto personale costituzionalmente garantito, che può dare luogo a danni risarcibili, si pensi, per esempio, al dolore di un genitore che viene escluso dalla vita del suo bambino. Naturalmente, perché il risarcimento venga riconosciuto è necessario dimostrare che non siano stati rispettati gli accordi, in particolare che sia stato commesso un grave inadempimento, ripetuto in modo sistematico e consapevole dall’altro genitore. In linea di massima, quindi, non sarà rilevante se in qualche occasione venisse spostato il giorno di visita o annullato, perché dovrà essere provata una situazione di una certa serietà e gravità, e che non sia altrimenti giustificabile.

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